Occupazione e Pil in forte crescita, ma disoccupazione e produttività inscalfibili. Sono le contraddizioni della Spagna. Se da più parti si celebra il miracolo economico iberico, a uno sguardo più attento emergono tutti gli interrogativi irrisolti di Madrid sul proprio futuro. La riforma del lavoro, che tra poco festeggerà il terzo anniversario, non ha avuto gli effetti sperati. Piuttosto la crescita è stata spinta dall’immigrazione, che ha aumentato la popolazione e sembra essere centrale anche per mantenere in piedi il sistema economico e sociale: il Banco de España stima, per esempio, che nei prossimi 30 anni saranno necessari fino a 24 milioni di lavoratori immigrati per incontrare le necessità delle imprese e sostenere le pensioni.

El Pais parla di “insolita forza dell’economia spagnola” commentando i dati di crescita stimati dall’Ocse. Secondo l’organizzazione di casa a Parigi, la crescita del Prodotto interno lordo spagnolo nell’ultimo anno è stata doppia rispetto alla media degli Stati membri, ovvero il 3,4% contro l’1,7 per cento. “Il buon andamento del turismo, le esportazioni dei servizi, la spesa pubblica, la resilienza dell’industria, i prezzi contenuti e l’aumento della popolazione migrante sono alla base di questa performance straordinaria, che prevedibilmente continuerà fino alla fine dell’anno”, dice il principale quotidiano iberico. A settembre l’ultima stima del Banco de España, che prevedeva per l’anno in corso un incremento del Pil del 2,8%, cinque decimi in più rispetto alle stime di giugno. Anche l’ultima previsione di BBVA Research è stata rivista al rialzo: nel suo outlook di ottobre l’istituto di credito scommette su una crescita del 2,9%, quattro decimi in più delle stime precedenti.

Queste stime non tengono conto delle drammatiche alluvioni di qualche settimana fa, le più disastrose della storia moderna spagnola, che avranno un impatto economico dello 0,2% sul Pil del quarto trimestre, secondo i calcoli della banca centrale. Le zone colpite, che per la maggior parte si trovano nella Comunidad Valenciana, rappresentano circa il 2% dell’attività economica complessiva della Spagna. Anche BBVA segue l’evoluzione economica delle aree colpite: in più di 40 comuni i consumi sono diminuiti di oltre l’80%. “In termini di Pil spagnolo, i danni iniziali della DANA (il fenomeno meteorologico che ha scatenato l’ondata di maltempo) sono vicini a quelli causati dall’uragano Katrina nel 2005 negli Stati Uniti, che raggiunsero all’epoca i 125 miliardi di dollari, quasi l’1% del PIL statunitense di quell’anno”. Il governo spagnolo ha annunciato un pacchetto di aiuti da 14,36 miliardi di euro per sostenere le famiglie e le imprese.

Al netto di questo evento straordinario, un’analisi più attenta dei dati suggerisce diverse problematiche strutturali. In primis va riconsiderata la crescita economica, che negli ultimi anni è coincisa con la crescita della popolazione. Secondo Judith Arnal, ricercatrice del Real Instituto Elcano, dal 2019 alla fine del 2023 la Spagna è stata il Paese dell’Eurozona a conoscere il maggior incremento di abitanti, da 46,9 a 48,6 milioni, +3,6%. Nello stesso periodo il Pil pro capite è cresciuto solo dello 0,1%, passando da 25.420 a 25.620 euro. Anche per quest’anno la crescita economica dovrà fare i conti con la crescita della popolazione. Il Fondo monetario internazionale prevede per il 2024, in linea con gli altri analisti, un incremento del Pil complessivo del 2,9%, ma riduce la stima di crescita del Pil pro capite all’1,7% per cento.

Il lavoro rappresenta una delle maggiori criticità, che nemmeno la riforma del 2021, che puntava a contrastare la precarietà promuovendo l’occupazione stabile, è riuscita finora a risolvere. La riforma ha introdotto il carattere prioritario del contratto a tempo indeterminato, limitando i contratti a termine alle sostituzioni temporanee di lavoratori e ad aumenti imprevedibili della produzione, per un tempo massimo compreso di 6 mesi. Tuttavia, Madrid continua ad avere la più alta rotazione tra ingresso e uscita dal lavoro nell’Eurozona, superando anche Paesi con maggiore incidenza di contratti temporanei, con un tasso di disoccupazione che sembra bloccato intorno all’11%, il più alto dell’Unione Europea.

Al contempo, paradossalmente, l’occupazione sta segnando livelli record: in estate si è raggiunto il massimo storico di 21,82 milioni di lavoratori, in crescita dello 0,6% rispetto al trimestre precedente. Nel secondo trimestre due terzi dei nuovi posti di lavoro sono stati occupati dalla popolazione straniera, una tendenza ormai consolidata degli ultimi anni, mentre a scendere per tre trimestri consecutivi sono stati i lavoratori spagnoli nella fascia 25-44 anni. E nei prossimi anni i posti di lavoro continueranno ad aumentare, sebbene a un ritmo inferiore: il Banco de España stima una crescita dell’occupazione misurata in ore lavorate dell’1,8% nel 2024, dell’1,7% nel 2025 e dell’1,1% nel 2026, rispetto all’1,9% nel 2023.

Lo stesso istituto centrale, in un rapporto dello scorso settembre, suggeriva che il “previsto rallentamento del ritmo della creazione di posti di lavoro”, l’invecchiamento della popolazione attiva e i flussi migratori relativamente elevati potrebbero provocare un “deterioramento della capacità di far incontrare le imprese e i lavoratori”, rendendo ancora più difficile la riduzione del tasso di disoccupazione nei prossimi anni. Il Banco de España prevede un tasso di disoccupazione dell’11,5% per il 2024, dell’11% per il 2025 e del 10,7% per il 2026, ben lontano dall’8% che l’Esecutivo si era posto come obiettivo di fine legislatura. Il contrastante impatto dei lavoratori immigrati si spiega con due caratteristiche evidenziate in un’analisi dedicata di Fedea, Fundación de Estudios de Economía Aplicada. Gli immigrati, soprattutto quelli provenienti da paesi extra-UE, sono spesso impiegati in lavori poco qualificati e poco retribuiti, anche se alcuni gruppi, in particolare quelli dell’Europa dell’Est e dell’America Latina, mostrano una mobilità ascendente nel tempo. Inoltre, tendono ad avere periodi di disoccupazione più brevi rispetto ai nativi, probabilmente a causa della maggiore pressione economica per trovare rapidamente lavoro e di una minore probabilità di ricevere sussidi di disoccupazione, almeno all’inizio della loro esperienza in terra iberica.

In questo quadro in evoluzione, ci sono due nodi che appaiono difficilissimi da sciogliere per il sistema economico spagnolo. Da una parte c’è la disoccupazione di lunga durata. I dati di Asempleo mostrano che il 20,5% dei disoccupati cerca lavoro senza successo da oltre quattro anni: si tratta di mezzo milione di persone. Secondo Randstad Research, salgono a 1,1 milioni le persone in cerca di lavoro da più di anno, rappresentando il 38,5% del totale dei disoccupati. Il secondo nodo è la produttività. I dati Eurostat, che fanno riferimento allo scorso anno e ai primi mesi del 2024, indicano che la produttività in Spagna si è consolidata a 97 punti (sulla base di 100 che costituisce la media dell’intera UE) e mostra un calo rispetto al massimo di 101,9 punti raggiunti negli anni immediatamente precedenti la pandemia, dunque quasi cinque punti in meno. Questa diminuzione è doppia rispetto a quella dei Paesi dell’Eurozona, che complessivamente hanno visto scendere questo indicatore di 2,7 punti, da 106,5 al ​​103,8.

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