Di commedie così baldanzose e vorticose nel ritmo, così spudoratamente divertenti nel rappresentare l’odiosità dei ricchi e la semplicità dei poveri, non se ne fanno più da tempo
Tra dirty pleasure, cult e oramai classico di Natale, Una poltrona per due si ripresenta beffardo e insuperabile nelle sale italiane il 9, 10 e 11 dicembre. Non è dato realmente sapere quanto il film diretto da John Landis nel 1983 abbia racimolato nei recenti passaggi tv in altri paesi occidentali. In Italia, si sa, è una miniera d’oro di share, spettatori e trend di Google da una ventina d’anni a questa parte. La prova cinema per 72 ore – distribuisce Adler, versione 4k – sarà un banco di prova curioso.
Intanto perché di commedie così baldanzose e vorticose nel ritmo, così spudoratamente divertenti nel rappresentare l’odiosità dei ricchi e la semplicità dei poveri, non se ne fanno più da tempo. Guardandola dall’ottica italiana, Una poltrona per due poteva essere un’idea, un plot, alla Risi o alla Monicelli. I due anziani miliardari wasp della costa est, i fratelli Duke (Don Ameche e Ralph Bellamy), scommettono un dollaro (!) su uno scambio forzato di persona per confermare o meno i loro due differenti assunti filosofici: l’ambiente crea e fa l’uomo (socialismo, vi dice qualcosa?) o è il talento di ciascuno a creare la propria fortuna (iperliberismo please).
Le vittime dell’esperimento “scientifico” sono il loro pupillo, l’altezzoso, bianco broker Louis Winthorpe III (Dan Aykroyd) e il mendicante guascone finto storpio nero Billie Ray Valentine (Eddie Murphy). I due vecchietti sono deliziosamente perfidi e disumani nello spogliare Louis dai soldi agli affetti, come di far piovere improvvisamente addosso tutto il suo ben di dio, compreso maggiordomo e Jacuzzi, su Billie Ray. Landis a suo agio con robusti ed estremi stereotipi (i neri, i nazi, i bianchi snob, i dropout) si ispira ironicamente alla poetica di Frank Capra e Preston Sturges, ma fa qualcosa di più. Impone, proprio nella fraternità impossibile tra Louis e Billie Ray, la prostituta Ofelia (Jamie Lee Curtis) e il maggiordomo Coleman (Denholm Elliott), una soluzione molto comunitaria modello New Deal: distrugge i potenti sfruttatori criminali in Borsa (oggi sono e sarebbero drammaturgicamente venerati maestri di vita ndr) e mostrare la gioiosità della convivenza senza distinzioni classiste.
Poi è chiaro Una poltrona per due può essere studiato anche solo per come un regista, autore, creatore come John Landis – mai troppo esaltato per il grande genio che è (stato) – faccia respirare nei suoi film (The Blues Brothers, Un lupo mannaro americano a Londra) un’aria di totale libertà compositiva, di giocosa distruttività di tempi, spazi, certezze narrative. Recentemente abbiamo scoperto che in pieno delirio cancel culture la scena in cui l’infido uomo dei Duke, colui che attua il piano di trasformazione delle vite di Louis e Billie Ray, corrompendo addirittura le forze dell’ordine, viene incastrato e punito da due protagonisti finendo rinchiuso una gabbia dove un ubriaco gorilla (con il costume e mascherone finto ed esibito come tale) lo sodomizza, è stata contestata come offensiva verso la comunità Lgbtq+. Idem per Aykroyd travestito da giamaicano con lucido da scarpe nero in viso e dreadlocks mancante di sensibilità verso la comunità afroamericana. Difficile capire se chi rivaluta ogni due per tre il passato decontestualizzando dettagli e senso del presente dell’epoca sia capace di studiare il significato culturale e simbolico di determinate scelte narrative senza far sentire in colpa chi ne ride e le apprezza. A questi ayatollah moralisti il Landis dell’epoca avrebbe fatto una sonora pernacchia.