L’ultima mossa indecente di Beppe Grilloinviare a Elly Schlein una missiva diffamatoria su Giuseppe Conte – fornisce l’ennesima conferma riguardo alla natura del personaggio. Della serie colpi bassi e porcate (copy Walter Matthau in “Due sotto il divano”, 1980).

Facendo seguito alla pagliacciata del video sul carro funebre in cui inanella una serie di banalità ricicciate, dalla fiducia costruttiva alle norme anti trasformismo parlamentare, gabellandole da intuizioni straordinarie. Per cui bisognerebbe smetterla di definirlo un genio, specie da parte di chi ora se ne professa critico (e che in passato lucidava i suoi stivali agitando flabelli). E credo di poterlo dire in quanto sono tra i pochi che, pur dando largo credito al M5S, ha scritto peste e corna dei suoi presunti fondatori (ricevendo ondate di insulti proprio su questo blog da fanatici adoratori del duo) fin dalla nascita della loro creatura; dall’orripilante denominazione – Cinquestelle – più indicata per una balera romagnola.

Perché il ragionier Giuseppe Grillo in vita sua non ha mai inventato proprio niente. A parte riproporre il tradizionale mugugno genovese con voce lamentosa. E questo “niente” lo caratterizza fin dagli esordi, quando saccheggiava il repertorio dell’amico cabarettista Orlando Portento, cresciuto come lui nel quartiere popolare di San Fruttuoso. Poi, con i primi successi sotto la guida di Pippo Baudo, è tutto un rivolgersi a ghostwriter; tra cui spiccava l’attuale ormai malmostoso Michele Serra. E infine l’incontro decisivo con il perito informatico GianRoberto Casaleggio; un consulente di comunicazione politica che si era candidato una volta sola in una lista fiancheggiatrice di Forza Italia, incassando sei preferenze sei. L’illuminazione sulla via di Internet per chi sino a quel momento terminava i propri pistolotti distruggendo pc a bastonate.

Allora, sotto la guida ispirata del guru di provincia, Grillo potè atteggiarsi a profeta dell’online che schiuderà le porte della democrazia diretta autogestita. Mentre – nel frattempo – i signori del silicio si stavano impadronendo della rete per praticare l’esproprio digitale dei dati comportamentali dei visitatori, da trasformare in beni da rivendere sul mercato. Si chiama “capitalismo della sorveglianza”; ossia l’incombente minaccia per la democrazia in scivolata verso la post-democrazia e la democratura.

Ma agli apprendisti stregoni in fregola di trasformare lo show business in un movimento di massa poco importava. Le loro antenne hanno segnalato l’arrivo di uno tsunami che investirà l’intera area mediana della società occidentale, a seguito delle prime crisi sistemiche dell’ordine finanziarizzato banco-centrico. Quella che sarà l’ondata dei crolli partita da Wall Street nel 2007 e che quattro anni dopo vedrà sorgere i quartieri della protesta (movimento degli Indignati) in qualcosa come 950 città sulle due sponde dell’Atlantico. Un’insorgenza epocale su cui Grillo e Casaleggio mettono cappello l’8 settembre 2007 con il Vaffa Day bolognese. L’avvio della loro avventura come demiurghi di un movimento di AltraPolitica.

Con una profonda differenza rispetto ai soggetti che altrove hanno dato voce all’indignazione; da Podemos a Syriza a Occupy Wall Street: il loro palese orientamento destrorso, malamente camuffato nello slogan “né destra né sinistra”. Non a caso se suo fratello era segnalato vicino al Fuan (gli studenti del Msi), il giovane Beppe Grillo bazzicava gli ambienti più retrivi del Pli genovese.

Con questi precedenti non mi sono mai sorpreso se il soggetto politico partorito dalla strana coppia aveva marcati tratti iniziatici (con Grillo proprietario del marchio e Casaleggio a controllare la piattaforma Rousseau dove tutto veniva deciso). Per cui, quando trionfa nelle elezioni del marzo 2018, Grillo, ormai orfano di Casaleggio, si defila non sapendo che pesci prendere e passa l’incombenza a Conte.

Ora, scoprendosi marginalizzato, ha tentato di riprendersi il giocattolo coadiuvato dalla Corte dei Miracoli dei Toninelli e delle Raggi e i suoi tre amici al bar. O forse è solo una questione di soldi: i 300mila euro indebiti. L’ho già detto, anche all’Elevato di Sant’Ilario si confà il soprannome “avida dollars”: l’anagramma che il poeta surrealista André Breton escogitò per Salvador Dalì.

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