Chiuse le indagini per una presunta evasione fiscale di oltre 887 milioni di euro nei confronti dei rappresentanti legali di Meta Platforms Ireland Limited (società che controlla Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger). Lo ha reso noto con un comunicato stampa il procuratore di Milano, Marcello Viola.
L’inchiesta era stata anticipata da il Fatto Quotidiano il 22 febbraio del 2023 e la somma è emersa in seguito agli accertamenti del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di finanza in base alla mancata presentazione della dichiarazione dell’Iva da parte del colosso guidato da Mark Zuckerberg per gli anni che vanno dal 2015 al 2021. I pm Giovanni Polizzi e Cristian Barilli hanno notificato oggi l’avviso di conclusione delle indagini nei confronti dei rappresentanti legali della società di diritto irlandese.
Al gruppo Meta viene contestato di aver omesso la dichiarazione di oltre 3,9 miliardi di euro fra il 2015 e il 2021 e aver evaso l’Iva per oltre 887 milioni di euro. Le indagini avrebbero verificato come Meta “acquisisca e gestisca, per scopi commerciali, dati, informazioni personali e interazioni sulle piattaforme di ciascun iscritto” per “consentire agli utenti l’utilizzo” gratuito “del proprio software e dei correlati servizi digitali”, fa sapere il procuratore di Milano. Un “rapporto“, secondo gli investigatori, che andrebbe assoggettato a regimi Iva in quanto ricompreso nella “cornice normativa” della “operazione permutativa“.
In sostanza, l’Iva non versata riguarda l’iscrizione degli utenti sulle piattaforme social. Iscrizioni che avvengono sì gratuitamente, ma con l’utente che in realtà paga una sorta di fee, perché mette a disposizione i propri dati personali e con tanto di potenziale profilazione di quei dati. Ed è proprio attraverso questo scambio, formalmente gratuito, che Meta può trarre comunque un profitto. Guadagni che, in base a valutazioni giuridiche e fiscali, devono essere tassati, secondo i pm, con l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, che Meta, invece, negli anni non avrebbe mai versato.
Le indagini hanno permesso “di evidenziare gli analitici elementi di fatto e di diritto idonei a supportare la configurazione, in capo ai Rappresentati Legali” di Meta, “soggetto erogatore del servizio e titolare del trattamento dei dati conferiti dall’utente, del reato di ‘Omessa Dichiarazione’ ai fini Iva di cui all’articolo 5, comma 1, del D.Lgs. n. 74/2000 per i periodi d’imposta dal 2015 al 2021”. Nel dettaglio avrebbero “omesso di dichiarare un imponibile pari ad euro 3.989.197.744,05, cui corrisponde un’Imposta sul Valore Aggiunto evasa pari ad euro 887.623.503,69“.
Per parte sua l’azienda ha commentato: “Abbiamo collaborato pienamente con le autorità rispetto ai nostri obblighi derivanti dalla legislazione europea e nazionale e continueremo a farlo. Prendiamo sul serio i nostri obblighi fiscali e paghiamo tutte le imposte richieste in ciascuno dei Paesi in cui operiamo. Siamo fortemente in disaccordo con l’idea che l’accesso da parte degli utenti alle piattaforme online debba essere soggetto al pagamento dell’IVA.”