A lungo l’Occidente capitalistico, fin dai tempi della Guerra Fredda, ma con rinnovata spocchia dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si è spacciato come patria d’elezione di democrazia e i diritti umani. Eppure l’assoluta inconsistenza di tale pretesa è sempre più sotto gli occhi di tutti.

Quanto ai diritti umani basterà menzionare l’atroce genocidio del popolo palestinese che è in corso e che, costringendoci al ruolo di spettatori sostanzialmente passivi, per quanto possiamo sforzarci di reagire a questa mostruosità, sottrae ogni giorno un po’ di umanità a ciascuno di noi, facilitando ed accelerando l’avvento di un’era post-umana più compatibile con le quotidiane infamie dell’imperialismo occidentale.

Infatti, se il ruolo di carnefice ed esecutore materiale di un intero popolo che diviene in quanto tale la vittima del massacro in corso è svolto dal governo Netanyahu e dallo Stato d’Israele, mandanti, organizzatori e finanziatori ne sono le élite al potere in Occidente e basta soffermarsi sui dati relativi al traffico d’armi e alla cooperazione militare strategica per capirlo. Queste stesse élite violano del resto ogni giorno i fondamentali diritti economici, sociali e culturali, e quindi anche quelli civili e politici, della stragrande maggioranza dell’umanità sabotando la lotta contro il cambiamento climatico e continuando a sostenere l’ingiusta ripartizione della ricchezza di cui sono le principali beneficiarie.

Né meno disastroso appare il bilancio della democrazia, sia pure intesa, nel senso più restrittivo e inadeguato possibile, come mera democrazia rappresentativa. Basti fare riferimento a due recenti vicende che sono altrettante testimonianze dei sussulti sempre più forti dell’Occidente in piena crisi di egemonia.

La prima vicenda riguarda la Romania, la cui Corte Costituzionale ha annullato le recenti elezioni sulla base dell’art. 146, lettera f della Costituzione rumena che le attribuisce poteri di sorveglianza sul processo elettorale. In sostanza, la Corte ha soppresso la volontà popolare espressa nelle elezioni annullate sulla base di segnalazioni, debitamente secretate, che le erano pervenute dai servizi segreti del Paese, in ordine a pretese ingerenze russe, esercitate mediante il social media Tiktok, che avrebbero consentito la vittoria di un candidato talmente sensibile alla necessità della pace da essere caratterizzato come filoputiniano da parte degli ambienti dominanti in Romania, in Unione Europea e negli Stati Uniti. Quindi il regime atlantista rumeno, che controlla i media del Paese, lamenta la lesione del suo monopolio informativo, attribuendola a una potenza straniera, in un momento nel quale la Nato sta per costruire proprio in Romania la sua più grande base europea, direttamente funzionale alla guerra di lunga durata contro la Russia (alla faccia della soluzione pacifica on pochingiorni promessa da Trump).

Quindi chi parla di pace va contrastato con tutti i mezzi e messo in condizione di non nuocere all’obiettivo della guerra santa fino all’ultimo ucraino ma anche in linea di tendenza all’ultimo europeo, recentemente fatto proprio dal Parlamento europeo, Pd compreso.

La seconda vicenda riguarda invece la Corea del Sud, che da oltre settantacinque anni costituisce, insieme al Giappone, il più poderoso pilastro del potere occidentale in Asia. In tale Paese il presidente in carica Yoon ha tentato un autogolpe preventivo appellandosi alle Forze Armate e indossando, ignoriamo se con l’autorizzazione del detentore dell’originale o meno, una cravatta rossa in stile Trump per indirizzare alla popolazione un violento discorso rivolto contro lo stesso Parlamento. Quest’ultimo era ritenuto da Yoon proclive a cedere alle “minacce comuniste” provenienti dalla Corea del Nord, e per questo ha voluto proclamare la legge marziale seguendo l’esempio dei militari autori nel 1980 di un sanguinoso colpo di Stato dopo che il presidente dell’epoca Park Chung Hee era stato assassinato dal Capo dei Servizi.

Oggi come allora il soprassalto autoritario appariva necessario per garantire l’allineamento del Paese alla politica estera statunitense, allineamento oggi in crisi crescente per l’ascesa del ruolo economico e politico della Cina e l’aspirazione sempre più forte dell’insieme della popolazione coreana, del Nord e del Sud, all’inevitabile riunificazione nazionale. Il tentativo golpista di Yoon si è infranto per il momento nei giorni scorsi sulla resistenza del Parlamento e del popolo, che continua ad esprimere la sua pervicace volontà di pace, ma il pericolo di una svolta golpista ed autoritaria rimane.

Da entrambe le vicende possiamo desumere l’assoluta incompatibilità del modello occidentale con la democrazia. Quello di “democrazia liberale” è destinato a suonare sempre più come un vero e proprio ossimoro, specie laddove tale strana creatura del pensiero umano tenda ad assumere, come nel momento attuale, caratteristiche sempre più segnate dalla disuguaglianza e dalla guerra, a conferma dell’inconciliabilità di fondo tra la democrazia, in tutte le sue possibili forme, e il capitalismo reale.

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