“Nel comparto aerodinamica McLaren ci sono più ingegneri italiani che in Ferrari”. Lo disse nel 2014 ad Autosprint Giuseppe Pesce, ingegnere aerospaziale ex del Cavallino e ormai di stanza a Woking da svariati anni. Fu una di quelle battute che dietro celano una discreta fetta di verità. Dieci anni dopo, il team papaya ha conquistato un titolo Costruttori che in bacheca mancava dal 1998, quando era ancora fresco il cambio di livrea, che dall’iconico bianco-rosso targato Marlboro era passato al nero-argento della West. Un successo, quello ufficializzato nell’ultimo gran premio stagionale negli Emirati Arabi Uniti, spruzzato anche di tricolore, vista la colonia italiana che, partendo dal team principal Andrea Stella, da tempo lavora nella scuderia britannica.
La vittoria della McLaren certifica la fine di una doppia traversata nel deserto. Una di lungo periodo, iniziata proprio nel 2014 quando per l’ultima volta il team si era trovato al comando della classifica costruttori. La seconda cominciata poco meno di due anni fa, quando la monoposto preparata nei mesi invernali per il Mondiale 2023 aveva mancato tutti gli obiettivi di sviluppo fissati dai tecnici, costringendo Stella a una dolorosa, temeraria ma efficace scelta di rifare la macchina da zero, a Mondiale iniziato, senza aspettare il nuovo anno. Il primato del 2014, conquistato a Melbourne, era cosa effimera e tutti ne erano consapevoli. Troppo forti le Mercedes di Lewis Hamilton e Nico Rosberg nell’era delle power unit ibride che iniziava proprio quell’anno: infatti alla fine la McLaren della coppia Jenson Button-Kevin Magnussen terminò quinta, di un soffio sopra alla Force India del duo Sergio Perez-Nico Hulkenberg.
Fino a due anni fa, la McLaren era una nobile decaduta dell’automobilismo. Non a livello della Williams, nonostante nell’ultimo decennio siano arrivati anche due noni posti nei costruttori, ma poco sopra. Comunque, lontana dalle zone alte, con successi e podi sporadici. Basti pensare che nella stagione attuale i podi conquistati sono stati 21, ossia più di tutti quelli (20) sommati tra il 2014 e il 2023. E, per la prima volta nella storia del Circus, un team ha concluso la stagione con uno zero nella casella dei ritiri. Il disastroso inizio di 2023 arrivava dopo un poco esaltante 2022, con un quinto posto e un solo podio (Norris a Imola). Ecco, quindi, la seconda traversata nel deserto, che in poco più di 600 giorni ha prodotto una monoposto competitiva, velocissima e costante, finendo paradossalmente per sollevare dubbi, anziché rafforzare, i propri piloti, dall’emotivo Norris all’incostante Piastri. Ma questo è un altro discorso.
Stella ha proseguito e migliorato l’impostazione gerarchica “orizzontale” proposta dal suo predecessore Andreas Seidl, puntando molto sulla condivisione di idee e informazioni cruciali tra i vari reparti e, soprattutto, tra i vari livelli gerarchici. Come raccontato da Alfredo Giacobbe su Ultimo Uomo: “La Formula 1 è un’attività logorante, con turni di lavoro esasperanti in alcune fasi della stagione, ed è importante avere un ambiente di lavoro positivo e confortevole: è stato cambiato il layout degli uffici per migliorare il benessere dei dipendenti; è stata introdotta una maggiore flessibilità oraria e promosso lo smart working. Piccole cose che fanno una grande differenza”.
L’input maggiore alla crescita delle monoposto è arrivato da un settore cruciale come quello dell’aerodinamica, guidato dal citato Pesce e nel quale lavorano altri ex Ferrari quali Marco Scavanini e Dario Scarfò. Ognuno con una sua storia che, per liberare il campo da qualsiasi equivoco, non significa un dito puntato contro il team del Maranello. Pesce, ad esempio, lasciò la Ferrari per motivi familiari, avendo come compagna un medico inglese e quindi intenzionato ad avvicinarsi a casa. Da segnalare anche il 30enne Luigi De Martino Norante, laureato in ingegneria aerospaziale e, a dispetto della ancora giovane età, già responsabile delle prestazioni aerodinamiche in pista.
Sono oltre venti i rappresentati della colonia tricolore di casa a Woking. Ovviamente, visto che la McLaren annovera circa 900 dipendenti, ciò non significa che il successo della scuderia sia da ascrivere solo agli italiani, ma resta rilevante notare come tante posizioni chiave nel team siano state affidati a nostri connazionali. Il cui unico denominatore comune e l’elevata professionalità, in questo caso ben sintetizzata da Stella, la cui carriera all’interno dello McLaren lo ha visto salire uno per uno i gradini della scala gerarchica, iniziando come ingegnere di pista per essere promosso a performance director, quindi responsabile dei rapporti con la Fia, capo delle aree di sviluppo prestazioni, racing director e, infine, team principal. Per lui Abu Dhabi ha davvero rappresentato la chiusura di un cerchio, cancellando quella che nel 2010 fu la grande delusione della sua carriera, quando da ingegnere di pista del ferrarista Alonso vide lo spagnolo perdere il titolo proprio all’ultimo Gran Premio, negli Emirati Arabi Uniti, a favore di Sebastian Vettel, campione senza mai essere stato in testa al Mondiale prima dell’ultima tappa.
Stella è l’ultimo esponente di una liaison tra gli italiani e la McLaren iniziata negli anni ’80 con Maria Di Bartolomeo, rimasta in azienda 25 anni, fino alla pensione, e proseguita da Giorgio Ascanelli, tecnico di pista di Ayrton Senna, e – dagli anni 2000 – da Luca Furbatto, anche lui progettista e strutturista come Ascanelli, che ha lavorato con Hakkinen, Coulthard, Alonso, Raikkonen, Button e Hamilton. Proprio nell’era Furbatto ha cominciato ad andare parecchio di moda l’italiano a Woking. Anche se, sportivamente parlando, per gli italiani la McLaren rimane la rivale storica per eccellenza, dalle sfide Hunt-Lauda, Senna-Prost, Hakkinen-Schumacher fino a episodi decisamente meno edificanti come lo scandalo spy-story che travolse il team inglese nel 2007. Un imbroglio fatto e finito, e probabilmente punito con eccessiva clemenza, come sempre accaduto quando di mezzo ci sono scuderie importanti.
Nulla a che vedere con la questione dell’ala mobile sollevata quest’anno e utilizzata da qualche “rosicone” per delegittimare un titolo vinto con pieno merito. Perché non specificato dal regolamento (la cosiddetta zona grigia) non significa vietato, quanto meno fino al pronunciamento della Federazione. La madre di tutte le zone grigie fu il successo della Brawn GP, al primo e unico Mondiale disputato, in quella che fu una storia pazzesca, giustamente celebrata anche con una bella serie su Netflix. Quella della McLaren racconta invece di una grande rinascita motoristica, con buona pace di chi considera puliti solo i successi della propria squadra.