Dal Torino Film Festival vi propongo un excursus su tre dei film visionati.

Europa Centrale, presentato in Concorso, è l’opera prima di Gianluca Minucci. Con un curriculum di videoclip e spot per farsi le ossa, il regista sceglie di esplorare lo spionaggio, il sospetto e il terrore come principali dinamiche sociali della politica di un secolo fa. Su un treno in corsa si svolge un signor thriller politico con una mirabile tecnica nei tempi e nelle scelte dei colpi di scena, ottenendo un pastiche claustrofobico ambientato nel 1940 in un’Europa dominata e spezzata a metà da nazifascismo e stalinismo.

Tommaso Ragno scava sempre nei suoi personaggi, nello spettatore, nelle storie e nella storia dei film che attraversa. Era accaduto in Nostalgia e Vermiglio ultimamente, e ora con Europa Centrale, questa attitudine a incarnare lo spirito del tempo. Minucci è illuminato nel mettergli a fianco proprio Paolo Pierobon, binario attoriale parallelo, qui in una contrapposizione perfetta di characters. Come in Rapito, La caccia o La vita accanto, attraversa anche lui lati oscuri di attualità e ethos dell’uomo italiano. Su questo set mescolano e si spartiscono i fardelli di fascismo e comunismo. Altro tema è l’amore combattuto tra gli ideali che possono piegare i valori fino a leccare stivali, una delle tensioni più stremanti alle quali ci sottopone il film. Protagoniste femminili in questo intrigo internazionale sono Matilde Vigna, Angelica Zakankova e Catherine Bertoni De Laet, tutte taglienti quanto attraenti con i loro personaggi sospesi tra pericolo e salvezza.

Ci sarà pure un pizzico di manierismo in questa favola nera/bolscevica, ma è il prezzo da pagare quando affondi coraggiosamente le gambe in un genere ostico quasi quanto il nostro momento storico.

In concorso a Torino edizione 42 anche n-Ego, opera seconda di Eleonora Danco. L’obiettivo si apre sulle persone, su ciò che sono, che nascondono e su quel che soffrono. Scava in sé stessa attraverso gli altri Danco, in questa raccolta di ricordi difficili sui padri e interviste pungenti. Si compone di visioni poetico/urbane questo diario popolare a base di testimonianze di quartiere (San Lorenzo e Trastevere in testa), inquadrature con schegge dorate e sbrilluccicanti di coperte termiche da sbarco indossate come silenziosi mantelli. Simbolismi fisici forti, come l’intervista a una donna legata a un palo e vetri infranti a terra da una ragazza abusata dall’ex. Piccole metafore forti del nostro tempo. Un messaggio concettuale, deciso che supera il cinema parlando il linguaggio della performance.

Poi a sorpresa questo zibaldone sulla Roma post-Remo Remotti con l’anima cinica sbeffeggia direttamente l’alta borghesia con le incursioni di un Filippo Timi che gioca a fare il capriccioso col frigo vuoto, e quella media, lavoratrice e irosa con Elio Germano in una succosa gag sul tassinaro sgradevole di oggi. Altro che Alberto Sordi.

Con Il corpo, thriller sulla sparizione del cadavere di una donna maura e molto ricca sposata con un giovane carrierista, Vincenzo Alfieri parte dal rifacimento dello spagnolo El cuerpo del 2012. Il suo è un ambiente romano d’alto lignaggio, con un lavoro del regista che sembra correre dalle parti di David Fincher per messa in scena. Alcuni tagli ed azioni gli riescono molto bene, altri meno. Cast molto forte, dai poliziotti Giuseppe Battiston e Andrea Sartoretti alla morta Claudia Gerini. Poco credibile che in Italia, una donna matura e ricchissima scelga come marito, affidandogli pure tutto il suo business, e non come semplice toy boy, un personaggio poco più che virgulto seppur promettente. A prescindere dalla prova attoriale dell’austero protagonista Andrea Di Luigi. Secondo voi una Marina Berlusconi qualora single si andrebbe mai a mettere in una situazione simile?

A prescindere dalle divagazioni, il thriller intrattiene il giusto, pur inciampando tra qualche virtuosismo perduto in un bicchier d’acqua, e pur peccando un po’ di economia del racconto, poiché un po’ prolisso e ampolloso.

Mette insieme due delle migliori attrici del nostro tempo La stanza accanto, Leone d’Oro come Miglior film a Venezia, e ritorno di Pedro Almodovar dalle parti di malattie terminali ed elaborazione del lutto. Una scrittrice di successo, Julianne Moore, rivede dopo diversi anni una sua vecchia amica, Tilda Swinton, scoprendola malata terminale per un tumore, e ricevendo da lei una difficile proposta di complicità per la sua eutanasia. Pochi hanno raccontato la solidarietà tra donne come Almodovar. Stavolta il regista spagnolo adatta nel suo stile Attraverso la vita, romanzo di Sigrid Nunez facendone non solo un racconto lucido e laico su una questione cardine della nostra società, ma un gioco a due di donne che dovranno inscenare una morte naturale. Autoironia a volte macabra e british della Swinton e un curioso meccanismo che somiglia al thriller, è un film impeccabile.

Semmai il suo neo sta in una scelta di casting sul finale forse un po’ teatrale, ma potenzialmente discutibile quanto non spoilerabile. Nel frattempo da noi è secondo al boxoffice con 754.000 euro totali, ma nel mondo ha incassato 5,6 milioni di dollari.

È invece in sala dal 5 dicembre Grand Tour, del portoghese Miguel Gomes, immeritatamente fuori dalla nostra top ten di box office. Datevi da fare con il passaparola perchè ci troviamo di fronte a uno dei migliori film di questo 2024, che vede l’inseguimento romantico e avventuroso di questa promessa sposa lasciata in sospeso in Asia dall’uomo che vorrebbe sposare con tutto il cuore e le più incrollabili speranze. La storia attraversa il sudest asiatico su tre livelli. I primi due attoriali, quindi sull’inseguito Gonçalo Waddington e sulla fiduciosa Crista Alfaiate con una risata splendidamente buffa e contagiosa. Loro cavalcano un 1918 di Grand Tour alla Thomas Cook, dove l’esploratore europeo benestante e curioso si avventurava attraverso giungle tentacolari e scoperte antropologiche.

Poi il terzo punto di vista che non ti aspetti è composto da una serie di panoramiche sull’Asia di oggi, tra mercatini affollati, monorotaie sopraelevate, elegie musicali sul traffico senza regole di motorini nell’attuale Saigon di mascherine anticovid. Premiato per la Miglior regia a Cannes conquista letteralmente con un bianco e nero sontuoso e raffinato. Amalgama i micro e i macromondi osservati Gomes e ci fa sentire per oltre due ore veri e propri esploratori di un continente e dell’animo umano, che volendo, a volte è anche più complicato di un continente stesso.

Chissà se Almodovar e Gomes li vedremo insieme a Maura Delpero alla Notte degli Oscar. Intanto crogioliamoci un po’ per la fresca nomination di Vermiglio ai Golden Globes tra i Migliori film stranieri.

Chiudiamo questo breve viaggio con un film presentato invece alla Festa del Cinema di Roma, Sezione Grand Public, ancora senza una data d’uscita in sala, Supereroi, di Stefano Chiantini con Edoardo Pesce. Litorale romano. Un padre camionista ha lasciato moglie e figlia, e quest’ultima, giovanissima promessa del nuoto, non riesce a perdonarlo. L’improvvisa malattia di lui porterà la ragazza ad accudirlo comunque, tralasciando il suo sport, e da qui l’occasione di ritrovarsi.

Pastiche estremamente asciutto, ben composto, non ha rivoluzionarie ambizioni formali, ma punta alla relazione padre/figlia e a una crepuscolare analisi del sacrificio. Con personaggi ben caratterizzati tra azioni e dialoghi scarni, nel suo apparente cripticismo approfondisce con tenerezza il tema dell’eroicità di chi aiuta per scelta. Buone anche le prove attoriali di Pesce, Sara Silvestro (vista già in Don Matteo 14 e Il Paradiso delle Signore) e Barbara Chichiarelli. #PEACE

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Golden Globe 2025, tutte le nomination: da Isabella Rossellini a Luca Guadagnino, ecco i film in lizza

next
Articolo Successivo

E se Gianni Morandi fosse diventato un attore drammatico? Bellocchio gli offrì una chance

next