“La possibilità di vivere in Thailandia mi ha permesso di creare connessioni con vari altri Paesi nel sud est asiatico nei quali vengo spesso invitato per seminari, concerti, conferenze. Se fossi rimasto in Italia, credo avrei fatto come altri dei miei amici, sarei entrato nelle scuole medie e magari adesso sarei insegnante di sostegno o di musica”. Jacopo Gianninoto e Alberto Firrincieli sono due musicisti, hanno rispettivamente 51 e 47 anni e vivono in Asia da oltre 20 anni. Il primo è stato, per anni, il direttore del Dipartimento di musica della Assumption University of Thailand, dove entrambi, oggi, sono professori. A oltre ottomila chilometri da casa si sentono a proprio agio, hanno all’attivo concerti, conferenze e pubblicazioni. “Bangkok è il nostro quartiere generale, escludiamo di tornare in Italia”.

Jacopo è arrivato in Asia nel 2003, in una cittadina al confine con il Laos, in una sorta di “ritiro spirituale” per un percorso personale legato all’approfondimento del Buddhismo. “Volevo vedere come sarebbe stato vivere dall’altra parte del mondo”, ricorda. Dopo l’incontro “casuale” con i rappresentanti della facoltà di musica della Mahasarakham University, ateneo in una zona remota del nord-est thailandese, Jacopo è invitato come guest lecturer di chitarra classica. In pochi mesi il lavoro dà i suoi frutti: gli studenti hanno ottimi risultati e già l’anno successivo, nel 2005, per Jacopo arrivano offerte da vari atenei della capitale, Bangkok.

Alberto, al contrario, è partito quando aveva 30 anni, quattro diplomi di conservatorio, una laurea in Musicologia alle spalle e varie domande per l’insegnamento nei conservatori in Italia. “Trovavo giusto assegnare il posto a chi avesse più esperienza e più titoli, però mi domandavo se valesse la pena aspettare la soglia dei 40 anni per poter insegnare in una istituzione, e neanche per un posto fisso ma per dei contratti relativamente brevi”, spiega. Nel 2008, insieme a sua moglie, di origine asiatica, cerca informazioni sugli atenei dell’estremo oriente. Così trova il sito della Assumption University, dove era direttore di dipartimento proprio Jacopo. “C’era una posizione aperta per un posto da professore di musica. Ho capito che quella era la mia occasione”. Dopo due colloqui e traduzioni di titoli e certificati, arriva l’assunzione. “A distanza di più di 15 anni ammetto che non è stato facile – continua –, e di problemi ne abbiamo avuto tanti, ma attualmente io e mia moglie siamo ancora nelle stesse istituzioni”.

“In Asia c’è una società molto internazionale, un lavoro che mi dà soddisfazioni e che mi permette di usare al meglio le mie conoscenze come musicista e insegnante”, racconta Alberto nella sua intervista al fatto.it. No, non si parla di posto fisso, precisa: la struttura in cui lavorano lui e Jacopo è privata e “ogni due anni siamo soggetti a valutazioni”, aggiunge. Qui, però, ha avuto la possibilità di realizzare progetti che in Italia non avrebbe mai potuto immaginare, organizzando un festival pianistico, mettendo su un’orchestra giovanile insieme a Jacopo e dedicandosi serenamente allo studio dello strumento, “con un profondo e sincero rispetto quasi reverenziale da parte degli studenti verso noi insegnanti”.

A Bangkok il costo della vita varia molto in base alle zone ma è simile all’Italia, spiega Jacopo. Fuori dalle zone turistiche, poi, i prezzi si abbassano ulteriormente, aggiunge. “Ci sono le food court nei centri commerciali dove con due euro si può fare un pasto completo – sorride Alberto –. Con eccezione del caffè, che può superare anche i tre euro se importato”.

Le università in Thailandia seguono il modello americano: nel dipartimento dove Jacopo e Alberto lavorano non si studia solo musica, ma sono inclusi quattro semestri di lingua inglese e vari altri corsi come business e matematica. “In Italia ho avuto degli insegnanti fantastici, luminari e iperspecializzati nel loro settore che mi permettevano di andare estremamente in profondità in una specifica materia, cosa che qui è più rara – aggiunge Alberto –. In Thailandia c’è un approccio al passo con i tempi, pensato per permettere agli studenti di trovare agevolmente il lavoro in un mercato internazionale”.

“A Bangkok ho conosciuto tanti giovani italiani appena laureati e molto qualificati, che nel proprio Paese non trovavano opportunità e sono stati costretti a partire – spiega Jacopo –. Quando sono partito – aggiunge – non l’ho fatto per mancanza di opportunità, volevo solo mettermi alla prova. Oggi non è più così”. Un consiglio per i giovani italiani sta proprio nel trascorrere un periodo all’estero, per studio o per lavoro, senza avere paura di dover comunicare in un’altra lingua (“è stato difficile per tutti, e in un modo o nell’altro ci siamo arrangiati”, sorride Alberto). “Il mondo è grande, nessuno verrà a prenderti a casa e a offrirti il tuo lavoro dei sogni” aggiunge Jacopo. “I giovani possono rischiare: si fa sempre in tempo ad aggiustare le cose se non vanno come voluto”.

Se a Jacopo manca ritrovarsi in piazza per il rituale degli aperitivi (“essendo originario del Veneto anche se non bevo”, dice), entrambi hanno messo su famiglia e sono dell’idea che una volta lasciata l’Italia non si torni più indietro. “Bangkok è il mio quartier generale: la mia famiglia è qui (mia moglie e mio figlio di 14 anni) e anche il mio lavoro” dice Alberto che, in futuro, se dovesse lasciare la Thailandia, lo farebbe solo per spostarsi in altri Paesi asiatici, non per tornare in Italia. “Al di là delle condizioni lavorative e del costo della vita decisamente migliori, qui – conclude – ho trovato il mio spazio, la mia dimensione, i miei studenti, e tante altre cose alle quali non ho intenzione di rinunciare”.

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