Non solo c’è voluto quasi un anno per sbloccare i fondi che dovrebbero aiutare le donne in uscita da una situazione di violenza, ma tutte le domande fatte nel 2024 sono da ripresentare. Dopo mesi di promesse e un’attesa infinita, come già denunciato da ilfattoquotidiano.it, è arrivato il decreto che ripartisce in tre anni i 30 milioni di euro stanziati in pompa magna il 25 novembre di un anno fa. E ripromessi anche quest’anno. “Questo ritardo”, denuncia Antonella Veltri, presidente D.i.Re, rete dei centri antiviolenza, “ha pregiudicato i percorsi di libertà delle donne, che hanno dovuto rivedere i loro progetti di vita. Quello che non sembra chiaro al governo è che le vite delle donne non possono aspettare“. Ma se lo sblocco dei fondi è “una buona notizia”, a preoccupare ora è il fatto che decine di donne debbano ripetere la procedura: “Oltre alla lunga attesa non giustificata”, ora è tutto da rifare “con evidenti e immaginabili difficoltà e pesantezze. Non è questo il sostegno ai percorsi di libertà che auspichiamo per le donne accolte dai Centri antiviolenza”.
Le preoccupazioni ora sono pratiche: il reddito di libertà è una misura istituita dal governo Conte 2 nel 2020 e che, un anno fa, è stata resa strutturale dall’esecutivo Meloni, grazie anche al contributo delle opposizioni che hanno convogliato qui il loro tesoretto per la manovra. Peccato che le difficoltà burocratiche abbiano bloccato l’erogazione fino a questo momento. “Alla fine i soldi alle donne arriveranno nei primi tre mesi del 2025“, ha dichiarato a ilfattoquotidiano.it Mariangela Zanni della rete D.i.Re e tra le prime ad aver denunciato il blocco delle domande. “Il problema è che ora tutte quelle fatte fino al 31 dicembre vengono resettate. Il decreto specifica che avranno priorità, ma bisogna comunque rifarle. Per le donne significa dover ricominciare il percorso, tentando di nuovo e senza la garanzia che riusciranno comunque ad avere i soldi perché i fondi sono limitati. Quindi c’è un ulteriore rischio di frustrazione e delusione“. Perché già il fatto che la richiesta di aiuto non sia stata accolta una prima volta “ha avuto un impatto”: “C’è stato sicuramente un senso di abbandono”. Quindi, ha concluso Zanni: “Alle istituzioni diciamo che è un bene arrivino i soldi, ma dovevano arrivare prima e i percorsi per uscire dalla violenza andrebbero facilitati, non ostacolati”.
Il decreto prevede che alle donne vada un contributo mensile di 500 euro per un totale di 12 mesi. Possono accedervi tutte coloro che hanno tra i 18 e i 67 anni. Inoltre, la domanda non è fatta in autonomia, ma avviene tramite “il Comune di riferimento” che fa in modo che i finanziamenti arrivino “alle donne vittime di violenza che si trovino in condizioni di povertà, con o senza figli, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali, al fine di sostenerle nel percorso di fuoriuscita dalla violenza, favorendone l’emancipazione economica”. I soldi, si legge ancora nel decreto, sono mirati “a sostenere prioritariamente le spese per assicurare l’autonomia abitativa e la riacquisizione dell’autonomia personale nonché il percorso scolastico e formativo dei figli e non è incompatibile con altri strumenti di sostegno come l’assegno di inclusione”. Chi ha già fatto domanda nel 2024, infine, avrà la priorità, ma a patto che la ripresenti entro 45 giorni dall’entrata in vigore del decreto. Sperando che sia la volta buona.