Lasciamo ad altri giudicare se Israele e Usa abbiano inferto un altro colpo al cosiddetto “asse della resistenza” (anche se molti dimenticano gli anni in cui Bashar al-Assad si mise a disposizione della “guerra al terrore” della Cia).

Lasciamo ad altri valutare se la Turchia abbia dato le carte e le sia sfuggito il mazzo dalle mani o se la Russia fosse troppo distratta a compiere crimini di guerra in Ucraina per farne altri in Siria.

Lasciamo ad altri paragonare le statue abbattute a Damasco con quelle di Baghdad “e sappiamo bene lì com’è finita”.

Lasciamo alle cancellerie occidentali le preoccupazioni su quanti siriani lasceranno nuovamente il paese, ignorando che sono moltissimi quelli che, fuggiti a partire dal 2011, vedono ora la possibilità di rientrarci.

Lasciamo alla Storia la possibilità di sbagliare e che, come sempre accaduto in passato, questa volta a pagare per tutti non saranno i curdi.

Lasciamo che siano altre persone, magari quelle direttamente interessate, a immaginare la Siria di domani.

La Siria di oggi sono le carceri che si aprono, come quella famigerata di Saydnaya, dalle quali escono fiaccati e piegati dalla tortura uomini (imprigionati persino nel secolo scorso), donne e bambini coi loro racconti di altri detenuti che dalla tortura sono stati uccisi.

A proposito di tortura e di molto altro come le sparizioni, sarebbe bene che la giustizia si mettesse in moto, perché oltre mezzo secolo di crimini di diritto internazionale commessi dalla dinastia Assad non può restare impunito.

Non è chiaro cosa sarà della denuncia presentata nel 2023 da Canada e Paesi Bassi alla Corte internazionale di giustizia, mentre è noto che la Corte penale internazionale, a causa dei veti russi, non ha mai potuto aprire un’indagine.

Resta la giurisdizione internazionale che chiama in causa soprattutto i tribunali europei: se proprio dalla Siria fuggiranno in tanti, tra questi ci saranno gli aguzzini già al servizio di Assad. Andranno indagati, processati e condannati.

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