Ha destato più di un dubbio e preoccupazione la scoperta di un composto chimico nell’acqua potabile, chiamato anione cloronitrammide, un sottoprodotto di decomposizione della clorammina, un disinfettante spesso utilizzato come alternativa all’ipoclorito e al biossido di cloro per la disinfezione delle acque potabili. Che cosa si sa di questa sostanza? Non è nota la sua tossicità, ma la frequenza con cui è stata individuata la sua somiglianza con altri composti tossici “sono preoccupanti e giustificano ulteriori studi per valutare il suo rischio per la salute pubblica”, hanno dichiarato i ricercatori che hanno osservato per la prima volta l’anione cloronitrammide nell’acqua potabile che si stima venga bevuta da più di 113 milioni di persone solo negli Stati Uniti. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Science. Ecco in dettaglio cosa è emerso.
Lo studio
L’anione cloronitrammide è stato trovato in tutti i 40 campioni di acque potabili cloramminate raccolti negli Stati Uniti, a livelli medi di 23 microgrammi per litro e, in alcuni casi, quasi di 100 microgrammi per litro: superiori ai limiti normativi di 60-80 microgrammi per litro consentiti per i sottoprodotti della disinfezione. Il composto è noto da decenni, ma finora era sfuggito alla rilevazione. Da sottolineare che l’uso della clorammina, come agente per la disinfezione dell’acqua potabile, è riconosciuto sia dall’Environmental Protection Agency degli Stati Uniti (EPA) sia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e il suo impego per la disinfezione è ritenuto sicuro.
“È ampiamente riconosciuto che quando disinfettiamo l’acqua potabile si crea una certa tossicità – ha spiegato Julian Fairey, professore associato di ingegneria civile presso l’Università dell’Arkansas e primo co-autore dell’articolo pubblicato su Science – . Si tratta di una tossicità cronica, in realtà, per cui un certo numero di persone può ad esempio ammalarsi di cancro bevendo acqua per diversi decenni. Ma non abbiamo identificato quali sostanze chimiche stanno causando tale tossicità. Uno degli obiettivi principali del nostro lavoro è identificare queste sostanze chimiche e i percorsi di reazione attraverso i quali si formano”.
La situazione in Italia
E in Italia, i metodi di trattamento delle nostre acque potabili sono analoghi a quelli statunitensi? Ci dobbiamo aspettare che l’anione cloronitrammide (CNA) sia presente anche nell’acqua che beviamo?
“Sì, questa sostanza chimica è di fatto un sottoprodotto della reazione tra il cloro e le ammine, come le mono- e diclorammine, durante il trattamento dell’acqua. Sebbene il suo livello sia monitorato, la presenza di CNA può essere problematica, in quanto potrebbe avere effetti tossici. Tuttavia, ci risulta che il tutto venga gestito in conformità con le normative europee sulla qualità dell’acqua potabile”, ci spiegano gli esperti dell’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente (ISDE) che abbiamo contattato per saperne di più.
Tra le varie cose dette dai ricercatori americani che fanno una certa impressione è che quando si tratta l’acqua c’è sempre pericolo che generi nel tempo dei danni alla salute.
“È vero che alcuni trattamenti utilizzati – continuano gli esperti dell’ISDE – per garantire la sicurezza dell’acqua potabile possano produrre sostanze chimiche che, a lungo termine e in concentrazioni elevate, potrebbero rappresentare un rischio per la salute. Un esempio comune è l’uso del cloro che, se da un lato è indispensabile per eliminare batteri e virus pericolosi, dall’altro può portare alla formazione di sottoprodotti come i trialometani. Questi composti si generano quando il cloro reagisce con la materia organica presente nell’acqua e, in alcuni studi, sono stati associati a potenziali rischi per la salute, come problemi al fegato o un aumento del rischio di tumori se esposti per periodi molto prolungati. Tuttavia, è importante contestualizzare questi rischi. Le normative europee, e quelle italiane in particolare, sono tra le più rigide al mondo e stabiliscono limiti molto severi per la presenza di trialometani e altri sottoprodotti della disinfezione nell’acqua potabile. Questi limiti sono fissati sulla base delle evidenze scientifiche più aggiornate e garantiscono che l’acqua distribuita ai cittadini sia sicura per il consumo quotidiano”.
Alla fine è in ballo il rapporto rischi/benefici di questi trattamenti, considerando in particolare che “il rischio potenziale derivante da questi sottoprodotti è infinitamente più basso rispetto ai pericoli immediati che si correrebbero senza un trattamento adeguato, come la diffusione di malattie di origine idrica, tra cui il colera, la dissenteria o il tifo”, tengono a precisare all’ISDE.
I metodi di depurazione in Italia
Come ci spiegano gli esperti dell’ISDE, nel nostro Paese i metodi di depurazione dell’acqua per il consumo umano variano a seconda delle caratteristiche dell’acqua di origine e delle specifiche esigenze delle diverse aree del Paese, “ma generalmente seguono fasi fondamentali come la coagulazione, la filtrazione e la disinfezione. E nonostante questi processi siano generalmente efficaci, esistono diverse criticità nel sistema di depurazione italiano. In alcune aree agricole, per esempio, la presenza di nitrati e pesticidi nell’acqua rappresenta un problema significativo, poiché queste sostanze sono difficili da eliminare con i metodi tradizionali. Un’altra sfida crescente è rappresentata dalle sostanze chimiche emergenti, come i residui di farmaci, le microplastiche e gli interferenti endocrini, che spesso sfuggono ai trattamenti convenzionali”.
“Le infrastrutture obsolete in alcune regioni del Sud Italia e nelle zone rurali aggravano ulteriormente la situazione, rendendo meno efficienti i trattamenti e aumentando il rischio di contaminazione. Inoltre, la gestione inadeguata delle acque reflue contribuisce all’inquinamento dei bacini idrici, da cui spesso proviene l’acqua destinata al consumo umano, aumentando la complessità dei trattamenti necessari”. “A queste sfide si aggiungono le variazioni nella qualità delle fonti idriche utilizzate. In Italia, l’acqua potabile proviene sia da risorse superficiali, come fiumi e laghi, sia da risorse sotterranee o sorgenti, e ogni tipologia richiede adattamenti specifici nei trattamenti”.
Verso l’utilizzo di tecnologie più moderne
“Per affrontare questi problemi, si stanno sviluppando tecnologie avanzate – continuano i nostri esperti – come l’osmosi inversa, i filtri a nanomateriali e biosensori per il monitoraggio in tempo reale della qualità dell’acqua. Tuttavia, una vera soluzione passa attraverso una gestione integrata delle risorse idriche e un controllo rigoroso delle fonti di inquinamento a monte, per garantire che l’acqua potabile sia sicura e sostenibile su tutto il territorio nazionale”.