La situazione a Damasco è molto più caotica di come appare dai comunicati dei ribelli anti-regime che hanno preso il controllo della capitale siriana domenica 8 dicembre, mentre Bashar al-Assad fuggiva a Mosca. “Questa è la prima mattinata tranquilla da domenica. Sono chiuso in casa da giorni, siamo rimasti solo tre italiani a Damasco”. Raggiunto al telefono, Andrea Sparro, responsabile per la Siria dell’ong italiana We World, racconta come sono stati i primi giorni dopo la caduta del regime. “Al momento le ong hanno dovuto sospendere tutte le operazioni. Finora parlavamo con le autorità del governo precedente – quello di Bashar al-Assad, ndr – Ora siamo in una fisiologica fase di ridefinizione: stiamo aspettando che si costituiscano le nuove autorità per allacciare rapporti”.

“Nei primi giorni le bande si sono lanciate in razzie e furti di tutti i tipi – dice Sparro a Ilfattoquotidiano.it – Non hanno solo svuotato le carceri, ma hanno svuotato le banche, i negozi, hanno rubato le auto delle rappresentanze diplomatiche, fuori dalle sedi delle ambasciate. Damasco in questo momento è una città selvaggia e senza ordine”. A questa situazione va collegato anche l’incidente, denunciato domenica sera dalla Farnesina, che ha coinvolto l’ambasciata italiana, senza danni per i carabinieri e per l’ambasciatore Ravagnan.

Nonostante i proclami su Telegram del leader di Hayat Tahrir Al-Sham (Hts) Abu Mohammed al-Jolani che ora si fa chiamare col suo vero nome Ahmed al-Shara, in cui fa divieto ai miliziani di entrare negli edifici pubblici, di imporre restrizioni all’abbigliamento delle donne e di sparare in aria, di fatto a Damasco i cani sciolti imperversano. Milizie jihadiste e salafite, ma anche i mini-eserciti dei diversi gruppi presenti in Siria.

Mentre nella città di Aleppo, presa dai ribelli il 30 novembre, l’Hts ha già impostato il suo governo (anche per la contiguità territoriale con la regione di Idlib), nella capitale la sfida di Al Jolani è trasformare una leadership militare (e di comunicazione mediatica) in un controllo concreto del territorio che garantisca la sicurezza alla popolazione.

“L’Hts non è entrato per primo a Damasco, domenica”, spiega Andrea Sparro. I primi a fare ingresso nella città, mentre il regime non era ancora ufficialmente crollato, sono stati i ribelli del sud, dalle province di Dara’a e Suwayda e dalla composizione di forze ancora più eterogenea di quelle dei gruppi di opposizione radicati Idlib, oggi federati sotto il controllo formale dell’Hts.

“I nostri dipendenti siriani raccontano che stanno cercando di dialogare con i miliziani dell’Hts per segnalare le loro posizioni ed evitare rischi alla loro sicurezza”, continua il responsabile di We World. Lunedì, i miliziani di Jolani e del suo governo di salvezza nazionale provvisorio hanno dichiarato il coprifuoco per ragioni di sicurezza e secondo le ultime informazioni hanno assunto il controllo anche di Mezzeh, il quartiere sudovest dove prima risiedevano gli iraniani e i miliziani sciiti che hanno sostenuto Assad.

La telefonata è a tratti interrotta dal crepitio di spari in aria. Festeggiamenti, ma non solo. “Abbiamo passato la notte insonne, con gli scoppi dei bombardamenti e il ronzio incessante dei droni dell’aviazione israeliana”. Ad aumentare la condizione di insicurezza degli abitanti di Damasco si aggiungono infatti i raid alla periferia della capitale contro strutture militari, laboratori e arsenali dell’esercito disciolto di Assad che Israele vuole evitare finiscano nelle mani di ribelli jihadisti, i cui proclami di moderazione non convincono Tel Aviv. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong basata a Londra e vicina all’opposizione anti-Assad, l’aviazione di Tel Aviv ha condotto “circa 310 raid” in territorio siriano da domenica. Principalmente a Damasco, la città portuale di Latakia e

“A questo bisogna aggiungere che il flusso di migliaia di siriani della diaspora che stanno tornando in Siria sull’ondata dell’entusiasmo per la caduta del regime costituirà un problema umanitario molto grande nel prossimo futuro”, continua Sparro. “Dobbiamo prepararci, per questo vogliamo tornare a lavorare il prima possibile”.

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