Il filosofo Leonardo Caffo è stato condannato a 4 anni per maltrattamenti e lesioni gravi nei confronti della sua ex compagna. Lo ha deciso la quinta sezione penale del Tribunale di Milano, presieduta da Alessandra Clemente. I giudici hanno anche disposto una provvisionale di 45mila euro e l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. La pm Milda Milli aveva chiesto una condanna a quattro anni e mezzo di carcere e di non riconoscere le attenuanti generiche all’imputato, il quale avrebbe avuto un comportamento processuale “volto a pulire la propria immagine continuando a screditare la parte offesa”. I giudici hanno escluso, invece, due delle tre aggravanti contestate (una dal reato di maltrattamenti sulla ex compagna dal 2020 al 2022 e l’altra per le lesioni).

“Spero ancora che non ci sia violenza nei confronti delle donne e non vedo nessuna ragione per contestare una battaglia così sacrosanta. Va bene colpirne uno per educarne mille: io sono stato colpito, speriamo che adesso educhino anche gli altri mille”, ha commentato Caffo al termine della sentenza. “Non so se sconto un clima, il clima è parzialmente giustificato perché la violenza di genere c’è. Non sarò qui a fare il paladino dell’altro lato, non mi vendo al migliore offerente”, ha aggiunto.

Il processo era iniziato il 20 dicembre 2022. Secondo quanto ricostruito dall’accusa i maltrattamenti sarebbero cominciati nell’estate 2019 e sarebbero andati avanti fino all’estate del 2022, quando la donna, ai tempi non ancora trentenne, decise di lasciarlo e di sporgere denuncia. Nel capo di imputazione sono riportati molti episodi di minacce, insulti – anche nei confronti dei familiari di lei – e violenze verbali e fisiche. Tra questi un litigio, che sarebbe avvenuto il 17 agosto 2020 a Catania, dove la coppia si trovava per le vacanze: lui, secondo la ricostruzione dell’accusa, le avrebbe afferrato “violentemente la mano destra contorcendogliela” e provocandole una fratturascomposta” con “accorciamento del dito” e che nell’immediatezza era stata addebitata a una caduta sotto la doccia.

Per i periti nominati dal collegio della quinta sezione penale la malattia è “perdurata per un periodo di tempo superiore ai 40 giorni”, mentre non sono stati rilevati danni permanenti “sulla capacità prensile” della mano. Il filosofo e intellettuale, oggi 36enne, avrebbe anche rivolto alla donna “offese raccapriccianti e umilianti” fino a “far perdere alla vittima la propria dignità”, invitandola in più occasioni a uccidersi per non essere riuscita “a fare nulla nella vita”. Lo scorso gennaio, nella sua deposizione la vittima aveva ripercorso in aula una storia lunga 4 anni e finita, a suo dire, in violenza.

I difensori di Caffo, durante la loro arringa hanno ammesso che la relazione tra i due era diventata conflittuale ma hanno negato le violenze e le aggressioni denunciate dalla ex. Nei confronti del filosofo, nell’agosto di due anni fa, l’allora gip Ileana Ramundo, aveva disposto la misura cautelare dell’allontanamento da nucleo familiare, con divieto di avvicinamento, che è stato revocato dal Tribunale lo scorso settembre, poco prima della scadenza dei termini. “Andremo in appello e cercheremo di provare a raccontare una verità diversa, in primo grado non siamo riusciti. Il futuro che vedo è pessimo e mi spiace profondamente per le persone coinvolte”, ha dichiarato Caffo subito dopo la lettura della sentenza. Le motivazioni verranno depositate entro 90 giorni.

Nei giorni scorsi era scoppiata la polemica per la sua partecipazione al festival “Più libri più liberi” diretto da Chiara Valerio a Roma: edizione che era stata dedicata alla memoria di Giulia Cecchettin, la 22enne uccisa da Filippo Turetta lo scorso anno. Dopo le critiche Caffo aveva rinunciato a prendere parte al festival.

“Questa sentenza conferma una verità che per quasi due anni ho cercato di far emergere, affrontando innumerevoli difficoltà, sia sul piano personale e legale che mediatico”, ha detto l’ex compagna del filosofo Leonardo Caffo, al termine dell’udienza. “Queste difficoltà – ha aggiunto – non sono un caso isolato, chiunque denuncia una situazione simile si scontra con un sistema che troppo spesso manca di strumenti adeguati per supportare le vittime. Questa sentenza tuttavia è solo la superficie di un problema più ampio e radicato. Le vittime di violenza continuano a pagare il prezzo di una profonda carenza nell’educazione sentimentale e di una cultura ancora permeata di pregiudizi. È fondamentale – ha concluso – che questa vicenda serva da spunto per riflettere su quanto ci sia ancora da fare per prevenire e contrastare realmente le violenze”.

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