In giacca nera, vicino alla moglie Asmae. Al momento è questa l’unica immagine dell’ex dittatore siriano, Bashar al Assad, fuggito dalla Siria insieme a figli e consorte, giunta dall’aeroporto di Mosca dove è atterrato ieri. Dopo 24 ore in cui il rais siriano era stato dato per morto o in aereo diretto in un Paese africano, una breve nota del Cremlino ha sciolto ogni dubbio: “Gli è stato concesso asilo per motivi umanitari”.
Così Putin ha accolto in casa l’alleato che ha sorretto per 14 anni durante un conflitto che era cominciato con delle proteste pacifiche in cui veniva chiesta la fine del regime e l’apertura democratica del Paese. Il sipario sulla storia della famiglia Assad al potere è così calato l’8 dicembre dopo 54 anni di un regno incontrastato passato di padre in figlio. Ma a Mosca non ci sono tutti. Manca il numero due del regime, colui che ha diretto e orchestrato la repressione: Maher al Assad, il fratello di Bashar. Gli insorti, che da 48 ore hanno messo fine al regime, si sono recati nella villa del fratello minore dell’ex presidente. Video circolati in rete mostrano una serie di tunnel che conducono ad altri palazzi della famiglia e nelle più svariate parti di Damasco. Quello che si vede dalle immagini, registrate con i telefonini dai guerriglieri dell’opposizione, sono una villa con tutti i lussi e questa rete di gallerie ampie e ben costruite da cui potrebbe passare anche un camion. Secondo l’osservatorio per i diritti umani siriani, con sede a Londra, Maher al-Assad, a capo della quarta divisione, la più fedele al regime, si sarebbe nascosto a Qardaha, la città natale della famiglia Assad e a maggioranza alawita. Sarebbe in attesa di partire, forse anche lui per la Russia.
I rapporti con il fratello si erano incrinati quando il primo, Bashar, aveva optato – secondo la ricostruzione di giornali arabi come al Daraj – per limitare l’influenza iraniana nel Paese prediligendo quella russa. Al contrario, Maher, da più parti descritto come violento e dal temperamento scontroso, aveva invece sostenuto la posizione di Teheran. In questo c’entrano i soldi, in particolare quelli del traffico di Captagon, gestito dallo stesso Maher in partnership con Hezbollah che conta una fitta rete di contatti anche con il Sud America.
Per porre un freno al fratello, nel settembre scorso Bashar avrebbe tagliato le percentuali dai traffici di stupefacenti dirette al primo, in un ultimo tentativo di contenimento. Ma le frizioni fra i due duravano da anni. Già in passato uomini fidati di Maher erano finiti sotto lo scrutinio del regime ed erano stati estromessi. Come Mohammad Hamsho, uomo chiave del network economico del fratello del presidente a cui il parlamento siriano aveva tolto l’immunità. O Khaled al Zubaidi, a capo del consiglio economico siro-algerino, anche lui colpito da sanzioni interne.
L’attrito fra Maher e il fratello potrebbe partire però da molto lontano, fin dagli Anni Novanta, cioè da quando il primogenito di Hafez al-Assad, Bassel, successore designato alla presidenza, rimase ucciso in un incidente d’auto. Il secondogenito, Bashar, è lontano dai circoli di potere. Mentre Maher è un militare ma il padre, che morirà sei anni dopo, nel 2000, non lo designò a suo delfino. Colpa del temperamento, o forse della paura che si ripetesse una lotta per il potere come quella che Hafez Al Assad ebbe con il fratello, Rifaat, anche lui a capo di corpi speciali, negli anni ottanta.
A Qardaha, città costiera, a metà fra il mare e le alture, Maher al Assad si potrebbe nascondere fra i fedelissimi della comunità alawita, fra quei clan familiari legati fra loro dal sangue, che hanno gestito il Paese per mezzo secolo. O forse si prepara all’esilio, ma dopo il fratello, dando così dimostrazione di essere lui l’uomo forte, quello ancora lì, in Siria, in un paese che hanno chiamato “La Siria degli Assad”.
Mondo
Maher, l’altro Assad in rotta col fratello Bashar. “È in Siria protetto dai clan alawiti”: così vuol dimostrare di essere il vero uomo forte
I rapporti col fratello si erano incrinati negli ultimi anni per divergenze sulla gestione di un regime familiare che durava da 50 anni
In giacca nera, vicino alla moglie Asmae. Al momento è questa l’unica immagine dell’ex dittatore siriano, Bashar al Assad, fuggito dalla Siria insieme a figli e consorte, giunta dall’aeroporto di Mosca dove è atterrato ieri. Dopo 24 ore in cui il rais siriano era stato dato per morto o in aereo diretto in un Paese africano, una breve nota del Cremlino ha sciolto ogni dubbio: “Gli è stato concesso asilo per motivi umanitari”.
Così Putin ha accolto in casa l’alleato che ha sorretto per 14 anni durante un conflitto che era cominciato con delle proteste pacifiche in cui veniva chiesta la fine del regime e l’apertura democratica del Paese. Il sipario sulla storia della famiglia Assad al potere è così calato l’8 dicembre dopo 54 anni di un regno incontrastato passato di padre in figlio. Ma a Mosca non ci sono tutti. Manca il numero due del regime, colui che ha diretto e orchestrato la repressione: Maher al Assad, il fratello di Bashar. Gli insorti, che da 48 ore hanno messo fine al regime, si sono recati nella villa del fratello minore dell’ex presidente. Video circolati in rete mostrano una serie di tunnel che conducono ad altri palazzi della famiglia e nelle più svariate parti di Damasco. Quello che si vede dalle immagini, registrate con i telefonini dai guerriglieri dell’opposizione, sono una villa con tutti i lussi e questa rete di gallerie ampie e ben costruite da cui potrebbe passare anche un camion. Secondo l’osservatorio per i diritti umani siriani, con sede a Londra, Maher al-Assad, a capo della quarta divisione, la più fedele al regime, si sarebbe nascosto a Qardaha, la città natale della famiglia Assad e a maggioranza alawita. Sarebbe in attesa di partire, forse anche lui per la Russia.
I rapporti con il fratello si erano incrinati quando il primo, Bashar, aveva optato – secondo la ricostruzione di giornali arabi come al Daraj – per limitare l’influenza iraniana nel Paese prediligendo quella russa. Al contrario, Maher, da più parti descritto come violento e dal temperamento scontroso, aveva invece sostenuto la posizione di Teheran. In questo c’entrano i soldi, in particolare quelli del traffico di Captagon, gestito dallo stesso Maher in partnership con Hezbollah che conta una fitta rete di contatti anche con il Sud America.
Per porre un freno al fratello, nel settembre scorso Bashar avrebbe tagliato le percentuali dai traffici di stupefacenti dirette al primo, in un ultimo tentativo di contenimento. Ma le frizioni fra i due duravano da anni. Già in passato uomini fidati di Maher erano finiti sotto lo scrutinio del regime ed erano stati estromessi. Come Mohammad Hamsho, uomo chiave del network economico del fratello del presidente a cui il parlamento siriano aveva tolto l’immunità. O Khaled al Zubaidi, a capo del consiglio economico siro-algerino, anche lui colpito da sanzioni interne.
L’attrito fra Maher e il fratello potrebbe partire però da molto lontano, fin dagli Anni Novanta, cioè da quando il primogenito di Hafez al-Assad, Bassel, successore designato alla presidenza, rimase ucciso in un incidente d’auto. Il secondogenito, Bashar, è lontano dai circoli di potere. Mentre Maher è un militare ma il padre, che morirà sei anni dopo, nel 2000, non lo designò a suo delfino. Colpa del temperamento, o forse della paura che si ripetesse una lotta per il potere come quella che Hafez Al Assad ebbe con il fratello, Rifaat, anche lui a capo di corpi speciali, negli anni ottanta.
A Qardaha, città costiera, a metà fra il mare e le alture, Maher al Assad si potrebbe nascondere fra i fedelissimi della comunità alawita, fra quei clan familiari legati fra loro dal sangue, che hanno gestito il Paese per mezzo secolo. O forse si prepara all’esilio, ma dopo il fratello, dando così dimostrazione di essere lui l’uomo forte, quello ancora lì, in Siria, in un paese che hanno chiamato “La Siria degli Assad”.
Articolo Precedente
L’Argentina dopo un anno di “cura Milei”. L’inflazione non corre più ma l’economia soffre, la povertà dilaga e le diseguaglianze aumentano. Mentre il welfare scompare
Articolo Successivo
Quindici anni fa il Nobel sulla fiducia a Barack Obama: un premio che poi non seppe meritarsi
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione