L'esplosione è avvenuta dinanzi alla sede del dicastero, nella capitale. La vittima era esponente dell'omonimo clan: aveva lavorato con la Cia contro i russi, poi Washington aveva messo una taglia sulla sua testa per essersi schierata con Al Qaeda
Il “botto” che ha fatto sussultare Kabul oggi ha portato morte, distruzione, e un colpo all’immagine del “nuovo corso” dei talebani nella gestione dell’Afghanistan. Khalil Haqqani, ministro che si occupava di rifugiati e rimpatri, ha perso la vita, investito da una esplosione che lo ha sorpreso proprio dinanzi alla sede del ministero, nella capitale. A […]
Il “botto” che ha fatto sussultare Kabul oggi ha portato morte, distruzione, e un colpo all’immagine del “nuovo corso” dei talebani nella gestione dell’Afghanistan. Khalil Haqqani, ministro che si occupava di rifugiati e rimpatri, ha perso la vita, investito da una esplosione che lo ha sorpreso proprio dinanzi alla sede del ministero, nella capitale. A confermarlo è stata una fonte del governo all’agenzia Afp.
Lo smacco, per i talebani, è doppio: dal punto di vista della sicurezza, perchè essere colpiti in questo modo denota falle non da poco nella capacità di controllare Kabul, e per il personaggio coinvolto, esponente di primo piano del clan Haqqani. Khalil era il fratello di Jalaluddin, signore della guerra e fondatore della rete omonima, e zio di Sirajuddin Haqqani, ministro degli Interni, uno dei nemici più acerrimi degli americani. Khalil aveva ottenuto il dicastero nel settembre 2021, ma in precedenza le sue attività erano state tutt’altro che diplomatiche tanto che nel 2011 gli Stati Uniti avevano offerto una ricompensa a chi avesse portato informazioni utili alla sua cattura; le stesse Nazioni Unite hanno riconosciuto Khalil Haqqani come terrorista.
Il personaggio, per un certo periodo, era tornato utile alla Cia, soprattutto durante l’invasione dei russi in Afghanistan (una guerra che si è protratta dal 1979 al 1989). L’emittente americana Nbc raccontò che il funzionario dell’Agenzia, Doug London, a capo delle operazioni in Afghanistan in quegli anni, ammise che Haaqani era stato un partner affidabile quando Washington aveva deciso di armare i mujaheddin. Per la Casa Bianca, la storia era cambiata quando Haqqani aveva iniziato a collaborare con Al Qaeda, non solo impegnandosi nella raccolta di fondi, ma eseguendo le indicazioni del nipote nelle operazioni militari al fianco dei qaedisti soprattutto nella regione di Paktia. Si arriva così al 9 febbraio 2011, quando il Dipartimento del Tesoro, con l’ordine esecutivo 13224, inserisce Khalil Haqqani nella lista dei terroristi internazionali tra i più ricercati, offrendo la taglia di 5 milioni di dollari.
Una ricompensa che nessuno ha mai riscosso; anzi, dopo la partenza in fretta e furia degli eserciti occidentali dall’Afghanistan, Khalil Haqqani si occupa prima di sicurezza a Kabul e poi ottiene il dicastero per i rifugiati. Insomma, il nuovo corso sbandierato dai talebani, in realtà è sostenuto da combattenti di provata esperienza che hanno l’obiettivo di riprendersi il Paese e imporre la Sharia. Il problema per il clan Haqqani come per il resto degli emiri, è diventato poi l’Isis Khorasan; una frangia che ha aderito allo Stato Islamico, ritenendo che i talebani non fossero poi così puri nel far rispettare le leggi islamiche. Questa branchia sunnita, da quando i talebani sono tornati al potere, ha compiuto numerosi attentati, prendendo di mira funzionari, combattenti, e membri della comunità Hazara, che è sciita.
In agosto, era stato lo stesso portavoce della polizia talebana, Khalid Zadran, ad indicare la comunità sciita come possibile obiettivo dell’attentato che aveva causato un morto e undici feriti. Una bomba era stata piazzata in un minibus nella zona di Dasht-e Barchi, a Kabul, dove risiedono molti hazara. Se vi sia l’Isis-K dietro la morte di Haqqani non è ancora stato stabilito in modo ufficiale, e le piste potrebbero essere diverse; di certo la dirigenza talebana perde un simbolo. E Kabul è ben lontana da vivere quella normalità che gli emiri avevano evocato dopo aver ripreso il potere.