Andrea Medri e Davide Barbieri, i due ex amministratori e fondatori di The Rock Trading, società-piattaforma per investimenti in criptovalute, sono stati arrestati. Per loro il giudice per le indagini preliminari di Milano, Rossana Mongiardo, ha disposto la custodia cautelare in carcere per bancarotta fraudolenta, false comunicazioni sociali, formazione fittizia del capitale e infedeltà patrimoniale. L’inchiesta è coordinata dai pm Pasquale Addesso e Grazia Colacicco del pool guidato dall’aggiunto Roberto Pellicano e condotta dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Milano e del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria. Nell’inchiesta è stato accertato un “dissesto” di circa 66 milioni di euro, “a fronte di oltre 18mila clienti”, che erano iscritti alla piattaforma.
Per The Rock Trading srl, piattaforma che un tempo era leader negli investimenti in bitcoin, era stata dichiarata la liquidazione giudiziale nell’aprile 2023 e la società, assieme alla Digital Rock Holding spa, società controllante, era finita al centro già nel 2023 anche di un’indagine della Procura di Milano per ipotesi di truffa e appropriazione indebita ai danni di migliaia di clienti, che avevano visto sparire i soldi da loro investiti. Inchiesta che ha, poi, virato, dopo il fallimento, verso l’accusa di bancarotta. Dalle indagini è emerso che parte dei soldi sono anche stati dirottati all’estero, su conti negli Usa, in Svizzera e in Lituania.
Indagine complessa – “Si tratta di una delle prime indagini di rilievo sul mondo dei Bitcoin”, che può essere anche “pericoloso” per i risparmiatori. Un’indagine “che ha dovuto penetrare i meccanismi transfrontalieri dei valori immateriali” scrive il procuratore di Milano Marcello Viola in una nota con cui ha comunicato gli arresti. “La complessità delle indagini è manifestata dal fatto che la Procura ha presentato tre richieste di liquidazione giudiziale nei confronti della capogruppo Digital Rock Holding spa, Trt srl e Onedime srl, tutte accolte dal Tribunale di Milano, che ha aperto una liquidazione giudiziale di gruppo con nomina del curatore”. Curatela che ha “a sua volta disposto una consulenza tecnica da Deloitte” e sono state, poi, “formulate due richieste di rogatoria (in Usa e Svizzera) e due ordini di indagine europei in Lituania e Irlanda, in parte già evase, che hanno consentito di ricostruire disponibilità di risorse all’estero da parte degli indagati e movimentazioni estero su estero”. La richiesta agli Usa, spiega ancora Viola, “è stata di recente integrata e trasmessa tramite Ministero della Giustizia”. Tra le altre cose, sono state “sottoposte a sequestro criptovalute rinvenute in chiavette Usb per un valore di 500mila euro“. Queste indagini dimostrano, ha chiarito il procuratore, “come il mondo delle criptovalute possa essere pericoloso per i risparmiatori proprio a ragione della difficoltà degli inquirenti di localizzare le attività illecite ed i loro proventi, con conseguenti difficoltà di recupero, in una realtà normativa ancora incerta”.
Come nasce l’inchiesta – Le indagini erano scattate da “segnalazioni di operazioni sospette riguardanti l’anomala operatività della piattaforma” e dall’analisi di “oltre 700 querele presentate dai clienti, a fronte della mancata restituzione delle somme investite”. Dopo lo stop alla “operatività della piattaforma”, il 17 febbraio del 2023, con l’impossibilità da parte dei clienti di “prelevare i propri asset”, gli approfondimenti hanno portato “alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale” per tutte le società del gruppo. E ci sono stati accertamenti bancari e perquisizioni personali nei confronti dei due amministratori. Si è arrivati a “quantificare le dimensioni del dissesto in circa 66 milioni di euro, a fronte di oltre 18 milaclienti” e ad appurare “come, fin dalla costituzione in Italia, la gestione societaria – scrive la Procura – sia stata caratterizzata da continui atti dispositivi eseguiti sulle disponibilità di moneta ‘fiat’ e virtuale dei clienti, non essendo mai stata adottata, da parte degli amministratori” alcuna divisione “nella gestione dei cripto asset della società rispetto a quelli dei clienti, né da un punto di vista gestionale, né a livello contabile”.
La cifra di 66 milioni di euro equivale alle domande di ammissione allo stato passivo delle società fallite da parte di chi ha perso soldi. È emersa anche una presunta falsificazione dei bilanci dal 2017 in avanti.