“Le istituzioni della Corea del Sud hanno retto e la società civile ha dimostrato ancora di non essere disposta ad accettare presidenti che rifuggono dalle loro responsabilità”. Parola di Francesca Frassineti, docente di storia dell’Asia orientale contemporanea presso la Ca’ Foscari e ricercatrice dell’ISPI.
La decisione di imporre (e poi ritirare) la legge marziale sembra un gesto esasperato. Cosa ha spinto Yoon Suk-yeol, un ex giurista, a introdurre una misura tanto scivolosa?
Sì è stato un gesto estremo, potremmo definirlo un sucidio politico. Yoon infatti è stato il procuratore generale che ha guidato il procedimento giudiziario che ha portato all’impeachment dell’ex presidente Park Geun-hye. Nessuno all’interno del suo partito lo ha sostenuto. Ha utilizzato metodi che fanno riecheggiare un’epoca autoritaria molto diversa dalla Corea del Sud attuale che non sono più accettabili dalla popolazione ma nemmeno dal suo partito. Solo l’ex ministro della Difesa lo ha sostenuto. Accettando le sue dimissioni Yoon ha in qualche modo usato la sua figura come capro espiatorio (Kim Yong-hyun ha tentato il suidicio l’11 dicembre dopo essere stato messo agli arresti, ndr).
L’esercito sembra aver avuto un ruolo abbastanza defilato rispetto alle maniere violente utilizzate in passato.
In un primo momento, l’esercito ha cercato di impedire l’accesso al parlamento durante il voto indetto dall’opposizione per la revoca della legge marziale. Fortunatamente Yoon ha accettato di ritirare la misura evitando una escalation. Bisogna vedere come evolveranno le proteste. Ci sono state manifestazioni pro-Yoon da parte di gruppi conservatori ma non si sono verificati scontri. Siamo comunque ancora ben lontani da una guerra civile.
Quali potrebbero essere gli scenari futuri?
La situazione nel People Power Party negli ultimi giorni è stata molto fluida. E la sorte di Yoon è assolutamente appesa alla volontà del partito, che ha già subito l’impeachment di Park. Quindi i conservatori avrebbero preferito un passo indietro del presidente. In particolare il segretario del PPP ha tutto l’interesse a distanziarsi da Yoon essendo tra i candidati a succedere alla presidenza. Inoltre si può presentare una mozione di impeachment per sessione parlamentare. Quindi l’opposizione ha già deciso di tentare di nuovo il 14 dicembre, anche incoraggiata dalle continue proteste popolari.
C’è la possibilità che dopo questa crisi ritorni al potere il partito democratico?
Assolutamente sì. Il Pd si sta avvantaggiando, così come il suo leader Lee Jae-myung, il quale però a sua volta ha problemi legali. Tanto che ad oggi non sarebbe candidabile. Se le corti lo ritenessero idoneo sarà di nuovo lui il volto dell’opposizione alle prossime elezioni.
Si parla di crisi della democrazia sudcoreana. Ma forse, per ora, i fatti dicono esattamente il contrario: le istituzioni stanno funzionando.
Sono d’accordo. Il parlamento ha retto e la società civile sudcoreana ha dimostrato ancora di non essere disposta ad accettare presidenti che rifuggono dalle loro responsabilità.
Quali potrebbero essere gli effetti della crisi politica sull’economia e sulla postura internazionale del paese? Mercoledì la borsa era in forte perdita.
E’ una volatilità che non fa assolutamente bene all’economia. Né fa bene al profilo internazionale di una nazione che negli ultimi anni si era posta come partner per la NATO e per l’Ue. Come “like-minded country” a favore del cosiddetto “ordine internazionale basato sulle regole”. Yoon si era insediato proprio promettendo una politica estera basata sui valori democratici che ha dimostrato di non rispettare.
Peraltro una vittoria dei democratici alle prossime elezioni comporterebbe un cambio netto nella posizione internazionale di Seul, considerata la storica linea morbida del PD verso la Corea del Nord.
Soprattutto sarebbe messo in discussione il dossier Giappone, con ripercussioni per il coordinamento trilaterale con gli Stati Uniti. A cui bisogna aggiungere le risposte che arriveranno da Trump.