A palazzo Bachelet otto consiglieri si sono astenuti: il magistrato fu tra i protagonisti della cosiddetta "guerra tra Procure" tra l'ufficio calabrese e Salerno
A oltre un anno dall’addio di Nicola Gratteri, trasferito a Napoli, la Procura di Catanzaro ha il suo nuovo capo: è Salvatore Curcio, sessant’anni, attuale procuratore di Lamezia Terme. Il suo era l’unico nome proposto dalla Quinta Commissione del Consiglio superiore della magistratura, competente sugli incarichi direttivi. A differenza di quanto accade di solito in […]
A oltre un anno dall’addio di Nicola Gratteri, trasferito a Napoli, la Procura di Catanzaro ha il suo nuovo capo: è Salvatore Curcio, sessant’anni, attuale procuratore di Lamezia Terme. Il suo era l’unico nome proposto dalla Quinta Commissione del Consiglio superiore della magistratura, competente sugli incarichi direttivi. A differenza di quanto accade di solito in questi casi, però, la ratifica da parte del plenum (l’organo al completo) non è stata una formalità: otto consiglieri si sono astenuti, ritenendo che la scelta fosse profondamente inopportuna. Nel lontano 2008, quando lavorava in Procura generale a Catanzaro, Curcio fu infatti tra i protagonisti della cosiddetta “guerra tra Procure” sull’inchiesta Why not avviata da Luigi De Magistris: insieme in violazione del dovere di astensione, firmò un decreto di contro-sequestro del fascicolo acquisito dai pm di Salerno, che accusavano lui e i suoi colleghi di aver insabbiato l’indagine dopo averla revocata a De Magistris (il procedimento è finito con un’assoluzione definitiva). Perciò nel 2009 il Csm lo ha condannato alla sanzione disciplinare della censura, da cui è stato riabilitato solo negli scorsi mesi. Questa delicata vicenda, però, non era citata in alcun modo nella delibera con cui il plenum lo ha nominato al vertice dell’ufficio calabrese. Così, alla vigilia del voto, a “ricordarla” a palazzo Bachelet è arrivata un memoria di 12 pagine firmata da un altro candidato al posto, il procuratore reggente di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, esperto pm antimafia (ha condotto i processi “Gotha”, “‘Ndrangheta stragista” e l’indagine che ha portato all’arresto del boss Pasquale Condello).
Chiedendo di rinviare la pratica in Commissione, Lombardo ha sostenuto che la nomina di Curcio fosse “in grado di compromettere il prestigio dell’ordine giudiziario”, in quanto il collega sarebbe stato mandato a “svolgere funzioni dirigenziali proprio nel medesimo circondario di Tribunale” in cui avvennero i fatti per cui è stato censurato. Nel documento si citano stralci dei vecchi provvedimenti disciplinari, in cui Curcio e i colleghi della Procura generale che firmarono il contro-sequestro (Enzo Iannelli, Domenico De Lorenzo e Alfredo Garbati) sono stati giudicati responsabili di “scarso equilibrio nell’esercizio delle funzioni”, “grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile” e adozione di “un provvedimento abnorme“. Lombardo ricorda l'”ampio rilievo mediatico assunto dalla specifica vicenda, che (…) ha trovato origine nel diretto e pubblico intervento, al fine di chiedere il ripristino delle regole fondamentali della giurisdizione, dell’allora presidente della Repubblica e presidente del Csm, Giorgio Napolitano“. E conclude che la condotta del collega viola i “principi cardine” del regolamento del Consiglio sulle nomine, in base al quale ogni dirigente dev’essere “immune da “profili ambientali” connotati da criticità in grado di minare i doveri di indipendenza, imparzialità ed equilibrio”.
Le osservazioni del procuratore reggino, però, non sono riuscite a ribaltare la partita al Csm. Il plenum ha prima respinto la richiesta di ritorno in Commissione e poi ha approvato la proposta di nomina di Curcio con venti voti a favore. Astenuti quattro consiglieri del gruppo progressista di Area (Marcello Basilico, Geno Chiarelli, Maurizio Carbone e Antonello Cosentino), Marco Bisogni e Antonino Laganà dei moderati di UniCost, Mimma Miele di Magistratura democratica (Md), il togato indipendente Roberto Fontana. Il relatore della pratica, il togato Eligio Paolini di Magistratura indipendente (la corrente conservatrice delle toghe) ha sottolineato che i fatti della “guerra tra Procure” sono “lontani nel tempo” e “non hanno impedito una serie di valutazioni di professionalità eccellenti” a favore di Curcio, nonché la sua nomina a capo dei pm di Lamezia: “Occorre togliere ogni ombra sul conferimento di incarico di procuratore in una sede delicata come quella di Catanzaro”, ha detto. Stesso ragionamento dal consigliere indipendente Andrea Mirenda, che ha paragonato i precedenti disciplinari a “cadaveri riesumati per certe procedure e dimenticati per altri”: “Dopo quei fatti”, ha ricordato, “abbiamo valutato più e più volte positivamente questo magistrato. Oggi sollevarli, anche astenendosi, in questa procedura è una gravissima torsione logica”. Per Mimma Miele di Md, invece, le condotte per cui Curcio è stato censurato “sono di rilevante gravità e afferiscono a modalità di gestione non corretta dei procedimenti”, e quindi giustificano l’astensione.
Così Curcio ha ottenuto l’incarico al vertice della Procura di Catanzaro, il comprensorio dove ha trascorso quasi tutta la sua carriera. Dopo una breve parentesi come giudice istruttore e giudice per le indagini preliminari, infatti, dal 1993 al 2012 ha lavorato come sostituto procuratore della Dda (Direzione distrettuale antimafia). Prima della nomina a procuratore di Lamezia nel 2017, inoltre, è stato sostituto procuratore generale. In carriera si è occupato di molti procedimenti contro la ‘ndrangheta: il suo nome è legato al varie inchieste sul narcotraffico internazionale, e in particolare all’operazione “Decollo” nell’ambito della quale la Dda di Catanzaro fece arrestare 119 persone su tre continenti, riuscendo a sequestrare 5.600 chili di cocaina. Altra indagine importante coordinata da Curcio è “Galassia”, sulle cosche della provincia di Cosenza e della zona di Cirò (Crotone), che portò a processo 187 persone dinanzi alla Corte d’assise di Catanzaro. Il neo-procuratore è un magistrato dal carattere schivo, come si capisce da una dichiarazione rilasciata nei mesi scorsi al sito di LacNews24, un giornale locale: “Tutti noi calabresi abbiamo bisogno né di supereroi, né di superpoteri, tanto meno di un deus ex machina che possa risolvere i nostri problemi, primo in testa quello relativo al crimine organizzato mafioso. C’è bisogno, invece, di una “straordinaria ordinarietà“, in cui ciascun cittadino responsabile sia parte attiva nella comunità in cui un diritto sia tale e non venga contrabbandato come “favore”, in cui ogni cittadino, quotidianamente, sia testimone del proprio impegno, nel lavoro, nello studio, nelle ordinarie occupazioni, nella vita relazionale, nella coerenza dei comportamenti”.