Assume sempre più centralità, nel 21esimo, la questione relativa al climate change e all’inquinamento ambientale. Calcolare il peso delle emissioni di CO2, quindi, assume un’importanza fondamentale per definire l’impatto che l’azione umana ha sul Pianeta. E la transizione digitale, almeno apparentemente, sembrerebbe aver ridotto le emissioni, tossiche per l’ambiente, di anidride carbonica.
Ma è davvero così? Dipende, sembra essere la risposta degli studiosi. Per scoprirlo bisognerebbe quindi calcolare il peso delle emissioni di CO2 relativo all’uso delle apparecchiature elettroniche e degli strumenti online. Basti pensare che una e-mail, scritta velocemente al telefono, genera 0.2 grammi di CO2. Se si passa al PC, magari impiegando una decina di minuti per scriverla, il peso sale a 17 grammi, secondo lo studio effettuato da The Guardian. Il dato aumenta anche in considerazione di eventuali allegati, come foto, video o gif, e del numero di destinatari della mail. Cifre basse, sia chiaro, ma comunque significative, a maggior ragione se sommate all’attività online mondiale e non limitatamente all’uso individuale della posta elettronica. Si stima, infatti, che se ogni adulto del Regno Unito inviasse una e-mail di cortesia in meno al giorno si potrebbero ‘risparmiare’ oltre 16 mila tonnellate di CO2 equivalente l’anno, riporta Geopop.
Alla posta elettronica, però, va aggiunta un’altra parte, probabilmente più consistente, della nostra attività online. Per l’associazione scozzese Zero Waste, le nostre esperienze digitali, ogni settimana, valgono circa 8,62 kg di CO2. L’equivalente di un viaggio in macchina di 50 km. Centrale in questa valutazione è anche l’uso delle app di messaggistica istantanea, come WhatsApp, che in Italia è usata da più del 90% di cittadini. Le tanto famigerate (e a volte temute) chat di gruppo consumano in media 2,35 kg di CO2 a settimana. Sicuramente la connessione a una rete Wi-Fi aiuta a diminuire l’impatto, perché consente di risparmiare i dati che generalmente vengono consumati per gli aggiornamenti e i backup. E, anche in questo caso, il dato sale se si considera l’invio di eventuali contenuti multimediali. Anche se le emoji, già presenti sul dispositivo, hanno un impatto minore rispetto ai video, le foto e le gif, che devono essere scaricate da entrambi i dispositivi.
Non meno importante è l’attività relativa al gaming e al consumo di musica. Per quanto riguarda la prima, esponenzialmente aumentata specialmente dal 2020 in poi, resta un passatempo con una forte emissione di anidride carbonica. Completando un gioco molto popolare come Fortnite si producono più di 5 kg di CO2e, secondo le stime di Zero Waste Scotland. Più o meno quanto un viaggio in aereo di 40 km. Ad essere rilevante, in questi termini, è sicuramente il download del gioco, gli aggiornamenti e il cloud gaming. La musica, invece, ha un impatto leggermente minore: per ogni brano ascoltato in streaming si calcola un peso di 1,9 g di emissioni di CO2. Certo, gli ascoltatori abituali sono presumibilmente di più rispetto ai videogiocatori e un’attività non esclude necessariamente l’altra, ma il consumo energetico derivante dal consumo musicale si riduce se l’ascolto avviene offline, ovvero dopo aver scaricato il brano, poiché i dati vengono prelevati solo una volta dal server.
Il consumo maggiore, chiaramente, non è ascrivibile all’attività del singolo utente, ma piuttosto a quella dei data center che aggregano, appunto, i dati e hanno quindi bisogno di una spesa maggiore in termini energetici. Le ultime analisi della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD), infatti, stimano che i maggiori data center mondiali abbiano consumato “una quantità di energia pari a quella consumata dalla Francia nel 2022, 460 terawattora”. Ma si teme un consumo quantomeno raddoppiato, e quindi a circa 1000 TWh, entro il 2026. Non da meno è il consumo di acqua, che attualmente è in forte aumento. Sempre l’UNCTAD stima che, nel 2022, i data center e gli uffici di Google hanno consumato più di 21 milioni di metri cubi d’acqua. Dati che, probabilmente, tenderanno ad aumentare. Considerando soprattutto l’imponente sviluppo delle nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, che richiedono una maggiore quantità di acqua per il raffreddamento dei server.