Ho letto con attenzione i dati riferibili al 2022 di Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) sull’affollamento degli accessi nelle Unità di Emergenza Urgenza della città metropolitana di Milano: 983.315 pazienti, rispetto ai 1.145.423 del 2021. Una enormità seppur in lieve calo.
Questi numeri sono anche dovuti al fatto che la distribuzione sul territorio è diseguale fra ospedali pubblici e strutture private accreditate. Anche se il Decreto 70/2015 stabilisce che tutte le strutture con letti accreditati per acuti dovrebbero essere dotati di servizi di pronto soccorso (e classificate quali ospedali di base, di I livello e II livello), si rileva che i posti letto totali per acuti sono 12.828, mentre quelli per acuti ma con servizi di E/U sono 11.625, ossia 1.203 in meno dedicati al settore.
Sono 30 le strutture con servizi di Emergenza-Urgenza della Città Metropolitana di Milano di cui 19 in ospedali pubblici e 11 nei privati accreditati suddivisi in 10 PS, 14 DEA I livello, 6 DEA II livello. Ma il totale degli ospedali con letti per acuti nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, ne troviamo 42 in quanto comprese strutture non dotate di servizi per l’Emergenza-Urgenza. Tra questi vi sono ospedali specialistici 2 IRCCS pubblici (Istituto Nazionale Tumori e Neurologico Besta); 4 IRCCS privati (IEO, Don Gnocchi, Maugeri/Camaldoli, S. Raffaele/Turro), 4 Case di Cura (S.Pio X, S. Giovanni, Ambrosiana, Igea) 1 Cooperativa Sociale Onlus (Istituto Stomatologico Italiano) e 1 Fondazione (Istituto Palazzolo Don Gnocchi).
Si capisce bene come le strutture pubbliche siano sicuramente più “stressate” di quelle private accreditate. Sembrerebbe che il carico maggiore sia per le prime che, se da un lato acquisiscono maggior esperienza nella gestione clinica e infermieristica del paziente acuto, dall’altro hanno maggiori spese e possono dedicare minor tempo ai pazienti ordinari che più facilmente passano al privato accreditato. Per così dire il pubblico fa molto più quello che deve mentre il privato accreditato più quello che gli conviene.
Naturalmente tutto andrebbe meglio per tutti, a cominciare dal cittadino, se, come si legge nello stesso report, si riducesse quel 75% degli accessi costituito da codici bianchi e verdi che intasano e occupano posto e tempo degli infermieri, sempre più scarsi.
La pandemia avrebbe dovuto insegnarci qualcosa, invece sono certo che nulla sia cambiato né che ci sia nemmeno l’idea più lontana di un cambiamento radicale per affrontare la quotidianità e la prospettiva non remota di una nuova pandemia.
Ricostruire la medicina di base e riorganizzarla al passo con i tempi dovrebbe essere il primo obiettivo del 2025. Abbiamo perso quattro anni importanti ed i morti che abbiamo avuto nella Regione Lombardia, il maggior numero al mondo in rapporto alla popolazione, non hanno stimolato nuove strade e nemmeno nuovi occhi per vederle meglio.
Una facoltà apposita di Medicina del Territorio di cinque anni, una medicina di base non più privata accreditata ma pubblica e reparti di medicina di prossimità all’interno di strutture pubbliche e private accreditate in egual misura, come dico da anni, potrebbero sicuramente far migliorare la distribuzione e la quantità dei numeri che ci ha fornito lo studio. Saranno i medici del territorio, a contatto con tutti gli specialisti quando servono, che faranno il primo filtro per liberare i reparti di Emergenza per le Urgenze vere.
Buon anno a tutti, speriamo pieno di novità salubri per tutti. Bisogna crederci e continuare a proporre. Prima o poi qualcuno ascolterà e quanto meno valuterà nuovi percorsi da intraprendere.