Quantificare precisamente il supporto offerto dalla Turchia all’avanzata ribelle verso Damasco non è impresa semplice. Ma dai legami ormai noti con diversi gruppi protagonisti della caduta di Bashar al-Assad, dalle dichiarazioni e dalla centralità ritrovata nel dibattito internazionale, si capisce che in questo momento il vero punto di riferimento della comunità internazionale a Damasco non è il leader di Hayat Tahrir al-Sham, Abu Muhammad al-Jolani, ma il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.

Nelle frequenti dichiarazioni rilasciate fin dall’inizio dell’avanzata ribelle su Aleppo, il leader di Ankara ha precisato di non avere mire espansionistiche sul Paese. Parole al limite dell’ironia (macabra) se si pensa alle decine di chilometri di territorio mangiato negli anni alle popolazioni curde, vittime di torture e massacri per mano delle stesse milizie sostenute dalla Turchia e che in questi giorni hanno marciato su Damasco.

Ma le parole di Erdoğan sono state smentite anche dai fatti. Se non si può parlare di presenza fisica dell’esercito turco, certo è che il suo peso politico e strategico si è fatto sentire. Non è un caso quindi che la Russia, dopo aver annunciato che “delle nostre basi sul Mediterraneo parleremo solo con chi comanderà nel Paese”, poche ore dopo ha avuto un confronto proprio con i vertici turchi. E non è un caso nemmeno che, nelle ultime ore, ad alzare la cornetta e contattare la presidenza siano stati diversi leader europei, tra cui anche Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen, e il segretario generale della Nato, Mark Rutte, tutti alla ricerca di rassicurazioni per il timore di nuovi incontrollati flussi migratori diretti verso l’Europa.

D’altra parte, è stato Erdoğan stesso a mettersi virtualmente alla testa dei combattenti che sono avanzati a una velocità impressionante da Aleppo fino alla capitale. Il 6 dicembre si intestava già la guerra dicendo che “dopo Idlib, Hama e Homs ovviamente l’obiettivo sarà Damasco”. E poi: “Abbiamo lanciato un appello a Bashar al-Assad, abbiamo detto ‘forza, determiniamo assieme il futuro della Siria’. Purtroppo, non abbiamo ricevuto una risposta positiva riguardo a questo”.

Così l’operazione militare è andata avanti e adesso lui, più degli altri, pretende di raccogliere i frutti della caduta di un regime rivale. Nonostante nel corso della guerra civile siriana si siano trovati a combattere nemici comuni, come le milizie a maggioranza curda delle Syrian Democratic Forces (Sdf), i due leader si sono scontrati più volte. Oggetto del contendere era la gestione e l’influenza sui territori a maggioranza curda. Il leader di Ankara voleva, e in gran parte ci è riuscito, poter penetrare il più a fondo possibile dal confine turco in avanti, così da indebolire le Ypg/Ypj e insediare una presenza militare fissa in quelli che considera territori utilizzati dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) come rifugio e base per sferrare attacchi in Turchia. Assad puntava invece a preservare l’integrità del territorio siriano già messa a repentaglio dalla nascita del Califfato, dalla successiva creazione di enclave islamiste come nella regione di Idlib e, di nuovo, dalle aree amministrate dai curdi.

Alla fine, a spuntarla è stato l’uomo forte del Bosforo che ha sostenuto le milizie jihadiste mettendole nelle condizioni di condurre, in collaborazione con Hayat Tahrir al-Sham, un’avanzata senza precedenti ed entrare nei palazzi del regime siriano, facendo così collassare una dittatura che durava da 50 anni. Ora sta a lui avventarsi sul bottino di guerra dopo aver sfruttato le debolezze dei principali alleati di Assad, dalla Russia all’Iran, fino a Hezbollah. “È stato bello parlare con Erdogan della Siria. Questo è un momento di gioia ma anche d’incertezza per milioni di persone. Speriamo in una transizione pacifica, nel rispetto dello Stato di diritto e nella tutela delle minoranze”, ha così commentato Rutte. “La Turchia continuerà a fornire un solido sostegno al popolo siriano nel prossimo periodo, al fine di ripulire la Siria dagli elementi terroristici, garantirne l’unità, proteggerne l’integrità territoriale e garantire che tutti i siriani, di tutte le componenti etniche e religiose, vivano in pace”, ha invece rassicurato von der Leyen.

La soddisfazione per quanto avvenuto, d’altra parte, non viene nascosta nemmeno dal leader del AkParti: “Da ieri in Siria è finita un’era buia ed è iniziata un’era luminosa. Credo che il forte vento di cambiamento che soffia sulla Siria porterà a risultati benefici per tutto il popolo siriano, in particolare per gli immigrati”. Tra chi beneficerà del nuovo corso, però, Erdoğan dimentica di citare se stesso.

X: @GianniRosini

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