È il pm che ha fatto giustizia sull’omicidio di Stefano Cucchi, ottenendo le condanne dei carabinieri responsabili. Ma prima ancora Giovanni Musarò, 51enne magistrato della Procura di Roma, ha scritto pagine fondamentali della lotta alla mafia. Eppure il Consiglio superiore della magistratura sta per negargli un posto alla Direzione nazionale antimafia (Dna), la super-Procura voluta […]
È il pm che ha fatto giustizia sull’omicidio di Stefano Cucchi, ottenendo le condanne dei carabinieri responsabili. Ma prima ancora Giovanni Musarò, 51enne magistrato della Procura di Roma, ha scritto pagine fondamentali della lotta alla mafia. Eppure il Consiglio superiore della magistratura sta per negargli un posto alla Direzione nazionale antimafia (Dna), la super-Procura voluta da Giovanni Falcone che coordina le indagini di criminalità organizzata e terrorismo in tutta Italia. L’organo di autogoverno delle toghe, infatti, deve nominare sette nuovi sostituti procuratori per coprire i vuoti d’organico nell’ufficio diretto da Giovanni Melillo: la Commissione competente, la Terza, ha proposto due “pacchetti” alternativi, e quello di gran lunga più votato non contempla il nome di Musarò. A dire l’ultima parola sarà il plenum (l’organo al completo) nella seduta del 18 dicembre, ma la notizia della probabile esclusione ha già sollevato reazioni indignate negli ambienti della magistratura, dove viene giudicata poco meno che scandalosa. Una situazione che richiama la vicenda di Nino Di Matteo, pm simbolo dell’antimafia siciliana clamorosamente scartato dal Csm nel concorso per la Dna del 2015, salvo poi ottenere l’incarico due anni dopo.
Le due proposte all’esame del plenum coincidono in cinque nomi su sette: salvo sorprese, alla Dna dovrebbero trasferirsi sicuramente i pm Ida Teresi (Napoli), Paolo Sirleo e Antonio De Bernardo (Catanzaro), Federico Perrone Capano (Bari) e Stefano Luciani (Roma). La proposta A, quella di maggioranza, aggiunge al quintetto Eugenio Albamonte, pm a Roma ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, e Antonella Fratello, sostituta a Napoli: in Commissione questa opzione ha ottenuto i voti delle due maggiori correnti delle toghe, i progressisti di Area e i conservatori di Magistratura indipendente, e dei due laici Michele Papa (eletto in quota M5s) e Daniela Bianchini (Fratelli d’Italia). La proposta B, sostenuta solo dai togati “moderati” di UniCost, comprende invece Musarò e Maurizio Giordano, pm a Napoli. Il discrimine sta nel diverso punteggio attribuito ai candidati sotto il profilo della “specifica esperienza” in indagini e processi di criminalità organizzata e terrorismo, il requisito più importante previsto dalla normativa su questo tipo di nomine. Nella proposta B a Musarò viene riconosciuto il massimo di sei punti, nella proposta A solo cinque, nonostante un curriculum difficilmente eguagliabile: nei dieci anni di servizio come pm a Reggio Calabria, infatti, ha condotto operazioni decisive contro le cosche Gallico di Palmi, Bellocco di Rosarno, Pelle di San Luca e Morabito di Africo. Alla Direzione distrettuale antimafia di Roma, poi, ha ottenuto il riconoscimento della natura mafiosa del clan Casamonica e condanne fino a trent’anni di carcere per i suoi luogotenenti, gestendo la delicatissima “pentita” Debora Cerreoni, ex moglie del boss Massimiliano Casamonica.
Eppure i cinque punti attribuiti dalla proposta A sono bastati a far precipitare Musarò nella griglia finale, fino a relegarlo al 16esimo posto su 24 aspiranti. In cima, invece, compaiono i pm Albamonte e Fratello, premiati entrambi con sei punti mentre la proposta B gliene attribuisce rispettivamente cinque e 5,5. Il punteggio massimo riconosciuto ad Albamonte, in particolare, ha fatto storcere qualche naso, perché l’ex presidente Anm non si è mai occupato specificamente di mafia: in compenso, però, ha una specializzazione riconosciuta sul terrorismo e i crimini informatici, settori che rientrano entrambi nella competenza Dna (il cyber-crime è stato aggiunto nel 2023). Il magistrato romano, inoltre, è uno storico esponente di Area, di cui è stato a lungo segretario. In un comunicato, però, il gruppo progressista ha difeso le ragioni della proposta che ha votato a prescindere dall’appartenenza: “Non ci hanno fatto velo le storie associative dei diversi candidati, persuasi come siamo che queste non possano essere fattore di maggiore attenzione o, al contrario, di disfavore”, hanno scritto i consiglieri, sottolineando il “valore strategico” della competenza sui reati informatici “per l’attività di contrasto sia al crimine organizzato di carattere terroristico e mafioso sia agli attacchi rivolti direttamente alla sicurezza dello Stato“. Non è escluso, in ogni caso, che nella classifica della proposta più votata possano esserci dei cambiamenti: mercoledì, infatti, il plenum dovrà votare separatamente i punteggi attribuiti dalla Commissione a ogni nome, approvandoli o respingendoli uno per uno.
Modificato alle 12:36 del 13 dicembre 2024