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‘Inside Gaza’ e ‘La guerra dei giornalisti’, i podcast raccontano la complessità della Striscia sotto assedio – LA PRIMA PUNTATA

Due operatori umanitari di Cesvi hanno mandato testimonianze dal campo. Anna Maria Selini ha raccolto i tanti casi in cui i cronisti palestinesi sono stati uccisi perché obiettivi dell'esercito israeliano

di Elena Rosselli
INSIDE GAZA - 2/3

INSIDE GAZA - 2/3

Descrivere Gaza dopo un anno e due mesi di devastazione è un’opera che richiede un vocabolario nuovo. Parole come devastazione, carestia, catastrofe non sono più sufficienti. Marcelo Garcia Dalla Costa, responsabile emergenze per Cesvi, ong che opera in 27 Paesi con 127 progetti, una persona che per lavoro affronta le più gravi emergenze a livello globale da 20 anni, lo ammette senza riserve: “Sono stato in Afghanistan, Siria, Yemen, ma Gaza è in una situazione senza precedenti”. I motivi sono vari: “Non esistono luoghi sicuri né regole che proteggano i civili dagli attacchi israeliani: scuole, chiese, rifugi, tutti quei posti che il diritto umanitario internazionale indica come inviolabili anche in guerra, o non esistono più o sono sotto attacco”. Per raccontare dal campo ciò che succede nella Striscia, Marcelo insieme a Giulio Cocchini è entrato a Gaza dopo un lunghissimo e snervante iter e ha realizzato, in collaborazione con Factanza, il podcast “Inside Gaza”, otto episodi, concepiti come un diario di viaggio per testimoniare cosa sta accadendo realmente dentro la Striscia, senza filtri o intermediazioni.

“Dovevamo raccontare l’eccezionalità di questi ingressi perché mai come adesso anche gli operatori umanitari sono diventati vittime, insieme a oltre 45mila civili palestinesi”, spiega Simona Denti, responsabile comunicazione di Cesvi. Solo il 30 novembre l’esercito israeliano ha ucciso cinque operatori umanitari di tre diverse ong, andando ad aumentare una tragica conta di morti che batte ogni record secondo i dati raccolti dall’Onu. Con i giornalisti internazionali tenuti fuori dalla Striscia e quelli palestinesi presi di mira e uccisi, anche chi porta aiuto ai civili – operatori, medici, persino cuochi – è diventato un bersaglio per l’esercito israeliano. “Cesvi attualmente ha due operatori italiani sul territorio e una ventina di collaboratori gazawi”, racconta ancora Marcelo, persone che, nonostante siano loro stesse sfollate e traumatizzate, lavorano ogni giorno per la sopravvivenza dei superstiti, in un contesto dove l’ingresso di qualsiasi cosa – cibo, acqua, benzina, medicinali, ecc – viene stabilito da Israele con criteri del tutto arbitrari. “Neppure i corridoi umanitari sono sicuri perché la gente disperata per la fame assalta i pochi tir che entrano – spiega il responsabile emergenze di Cesvi – ogni linea rossa è già stata superata e le regole non esistono”.

Il report di Amnesty che definisce “genocidio” ciò che il governo israeliano sta facendo a Gaza ha suscitato molte critiche, prima da parte della sezione israeliana di Amnesty stessa, poi dai vari governi che in questi 14 mesi hanno continuato a supportare Benjamin Netanyahu. Per Dalla Costa “gli aspetti politici non sono di nostra competenza. Noi ci basiamo sui dati di fatto e su quello che vediamo sul campo: ogni criterio fissato dal diritto internazionale è stato violato. Chiunque può trarre le sue conclusioni al di là delle opinioni”. Già, i fatti e le opinioni, che dovrebbero rimanere ben distinte. “Quello che è certo – conclude Marcelo – è che prima o poi l’operazioni militare finirà, ma le cicatrici sono così profonde, che non possiamo immaginare quali conseguenze avranno, soprattutto nelle generazioni più giovani“.

Perché un podcast? “Quando scrivevamo alle persone rinchiuse a Gaza ci rispondevano “still alive”, siamo ancora vivi. – racconta Simona – Così, quando Marcelo e Giulio sono entrati, visto che a Gaza mancano quasi sempre la corrente e la connessione, per facilitare il loro lavoro abbiamo detto: ‘mandateci dei vocali’. E’ venuto fuori un racconto crudo, onesto, diretto”. I risultati hanno premiato “Inside Gaza”: “In due mesi ha già raggiunto 10mila ascolti, soprattutto tra le donne, nella fascia 28-34 anni, ma anche tra i 35 e i 44”, spiega Bianca Arrighini, ceo e co-fondatrice di Factanza. “Per noi era fondamentale sensibilizzare più persone possibili su quello che realmente sta accadendo a Gaza, perché ancora in troppi non si rendono conto della gravità della situazione”.

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