di Sara Gandini e Paolo Bartolini

Le recenti decisioni del governo in carica, come la cancellazione delle multe ai non vaccinati sopra i 50 anni, hanno suscitato reazioni contrastanti nel panorama politico e sociale. Da un lato, alcuni hanno accolto la misura come un atto di riconciliazione e revisione delle politiche passate; dall’altro, molti la considerano uno schiaffo ai cittadini che hanno rispettato le regole, mettendo l’interesse della collettività al primo posto. Questo dibattito riflette una più ampia divisione sulla gestione della pandemia e sulle sue implicazioni etiche e sociali.

Negli ultimi anni, il dibattito sui vaccini anti-Covid 19 ha sollevato numerosi interrogativi, sia dal punto di vista scientifico che sociale. Molti hanno criticato la retorica secondo cui l’obbligo vaccinale fosse necessario per il bene collettivo, evidenziando come la priorità della salute pubblica non sia stata coerentemente supportata da adeguati investimenti nel sistema sanitario.

Uno dei presupposti centrali dell’obbligo vaccinale era che i vaccini prevenissero la trasmissione del virus. Tuttavia, studi scientifici e dichiarazioni ufficiali, come quelle dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), hanno chiarito che i vaccini contro il Covid-19 sono stati progettati principalmente per prevenire le forme gravi di malattia, i ricoveri e i decessi, non per bloccare la trasmissione. Persino la revisione Cochrane ha evidenziato che i vaccini potevano ridurre il rischio di infezione inizialmente, ma l’efficacia calava nel giro di pochi mesi. Molti studi, inclusa una revisione pubblicata su The Lancet, hanno mostrato una riduzione significativa dell’efficacia contro l’infezione da SARS-CoV-2 entro sei mesi, sebbene la protezione contro le forme gravi rimanesse alta.

L’introduzione di green pass e obblighi vaccinali non poggiava, allora, su basi scientificamente solide dato che tali misure si basavano sull’assunto che i vaccini offrissero un beneficio diretto a terzi, requisito non pienamente soddisfatto.

Le politiche vaccinali, specialmente quelle coercitive, hanno generato polarizzazione sociale e una perdita di fiducia nelle istituzioni. Articoli pubblicati su riviste autorevoli come il British Medical Journal hanno sottolineato come obblighi e restrizioni abbiano causato più danni che benefici, evidenziando la necessità di politiche più inclusive e rispettose delle diversità individuali.

Infine, è fondamentale riconoscere i limiti degli studi clinici e promuovere una comunicazione scientifica onesta per evitare ulteriore distanza tra istituzioni e cittadinanza.
Per tornare alla cancellazione delle multe, ci sembra onesto riconoscere che nessuno dei vaccinati (e noi rientriamo in questo gruppo) dovrebbe pensare per questo di essere stato un cittadino modello, ostentando un’implicita e immotivata superiorità morale su altri cittadini esposti ripetutamente a campagne mediatiche di svalutazione permanente. Ribadirlo significa intercettare un malessere diffuso e portarlo nel campo delle ragioni e delle argomentazioni, evitando scontri ideologici corrosi dall’astio reciproco.

La nostra conclusione, del resto, è che non dovremmo mai dismettere l’uso della ragione, del senso critico e dell’esercizio del dubbio. Aprire alle ragioni altrui, anche quando non coincidenti con le proprie, può nutrire un’idea di mondo e forme di convivenza nelle quali salute e democrazia non si eludano vicendevolmente, bensì fioriscano insieme, senza demonizzazioni incrociate e scontri che impediscono, sia alla politica che alla scienza, di procedere in modo arricchente per tutti.

Concludiamo ricordando Hanna Arendt: “Le ideologie ritengono che una sola idea basti a spiegare ogni cosa nello svolgimento dalla premessa, e che nessuna esperienza possa insegnare alcunché dato che tutto è compreso in questo processo coerente di deduzione logica”. Ecco, noi pensiamo che la pandemia sia stata una esperienza personale e politica che ha segnato fortemente la nostra storia e da cui non si possa prescindere. A tal proposito la sinistra – per quel che può significare ancora questa parola, incapace di suscitare come un tempo entusiasmo e mobilitazione tra lavoratori e nelle classi popolari – mostra per l’ennesima volta di non essere in grado di fare i conti con questa vicenda altamente simbolica. Ciò è grave perché perde sempre più credibilità e compromette il dialogo proprio con il popolo che dovrebbe rappresentare.

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