di Mauro Condarelli

Oggi si parla molto di scioperi, diritto e regolamentazione dei medesimi.
Ai miei occhi, però, nessuno riesce a cogliere e spiegare correttamente un fatto importante: gli scioperi a cui assistiamo oggi non hanno, per la stragrande maggioranza dei casi, nulla a che vedere con quelli “classici”, che riguardavano per lo più il comparto manifatturiero.

Negli scioperi in manifattura gli operai rifiutano di lavorare e quindi di produrre le merci che il “padrone” vuole e può vendere; non potendole avere e quindi vendere la proprietà dell’azienda (o gli “investitori”) subiscono un danno diretto: gli si impedisce di ottemperare ai loro contratti e quindi di ottenere il ricavo dalla vendita. Tutto è diretto e lineare. La clientela riceve un danno molto limitato ed è libera di rivolgersi altrove per ottenere merci equivalenti (creando un ulteriore danno alla ditta).

Nota a margine: se l’azienda è in difficoltà e non riesce a vendere i prodotti, com’è attualmente per tutto il settore Automotive, lo sciopero è inutile e financo controproducente. L’azienda risparmia e non riceve alcun danno: l’unico effetto “positivo” è attirare l’attenzione, ammesso si riesca a farlo.

Negli scioperi nei servizi, in larga parte sovvenzionati dal pubblico, questo danno diretto non c’è né ci può essere. Il datore di lavoro (la Pubblica Amministrazione o ditte da essa controllate) risparmia soldi durante gli scioperi e l’utenza ha raramente accesso a servizi effettivamente alternativi. Lo sciopero non può procurare un danno diretto all’Amministrazione e quindi il legame diretto di cui sopra non può esistere; viene pertanto sostituito da un legame indiretto.

Lo sciopero serve appositamente per recare un danno o perlomeno un disagio grave all’utenza che (si spera) farà poi pressione sul politico per ottenere i servizi funzionanti.
Pretendere di attuare scioperi nei servizi pubblici “senza ricadute sul cittadino” è un ossimoro. Notare che questo non riguarda solo i trasporti, ma è vero per quasi qualunque settore possa venir accomunato a un “servizio pubblico”.

La macchina dello Stato (e delle Amministrazioni Locali) ha pochissimi settori che sono nevralgici che se non sono efficienti lo Stato stesso ha un danno diretto; nella maggior parte dei casi la richiesta di efficientamento viene solo dal malcontento popolare (a titolo di esempio: per il rinnovo della Carta d’Identità a Roma ci sono code superiori all’anno, ma nessuno farà niente finché non esploderà la rabbia… con il risultato di finire a votare per Brunetta).

Nella sanità pubblica, altro eclatante esempio, a smantellarla completamente si risparmierebbero tanti soldi, se non lo si fa è solo per paura che poi gli utenti finiscano per votare in massa chi promette di mantenerla. Non è un caso che si tollerino enormi inefficienze anche nelle prestazioni di base (strutture “private” erogano almeno 10 volte le prestazioni di un’equivalente, per struttura e personale, privato): non c’è danno “diretto” e la struttura è abbastanza elefantiaca da permettere “supercazzole” per giustificare verso l’elettorato.

Sembra fare eccezione la scuola, dove infatti si abbattono infiniti tagli, visto che nessuno sembra interessato a che i ragazzi imparino davvero qualcosa; la si sta trasformando lentamente in quel che sembra servire davvero: un sevizio di babysitteraggio senza altre finalità che tenere i pargoli fuori dalle scatole.

In conclusione: cercare di regolamentare il diritto di sciopero nei servizi pubblici in modo tale da non gravare sull’utenza (o avere minimi effetti negativi sul cittadino, che è la stessa cosa) significa, a tutti gli effetti, rendere lo sciopero completamente inutile e quindi, di fatto, negare il diritto di sciopero stesso.

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