L’olocausto avvenuto nelle carceri del regime siriano è l’unico punto dal quale può e deve partire qualsiasi discussione intorno alla Siria. E’ infatti un punto di svolta nella vita e nella storia di questo paese e dei suoi cittadini che erano consapevoli della brutalità della dittatura degli Assad ma non immaginavano la profondità di questo pozzo che ha inghiottito le vite di decine di migliaia di persone. Ogni giorno che passa, emergono nuove atrocità, rimaste nascoste per molto tempo.
E’ notizia di ieri che un’altra fossa comune è stata scoperta nei dintorni di Damasco. In essa sono stati gettati, come sacchi di patate, i corpi di oltre mille persone.
Ogni famiglia siriana, dalla costa fino alla punta più a sud del paese, cerca un proprio caro. Le code chilometriche fuori dalle prigioni; le mura nelle città con i volti degli scomparsi e i numeri dei famigliari da contattare per qualsiasi notizia, testimoniano un paese unito nel dolore e nella speranza di riabbracciare un proprio caro. Simbolo tragico di questo olocausto è sicuramente Mazen al Humada, di cui ilFatto.it, ha pubblicato un ricordo. Ieri si sono celebrati a Damasco i funerali ai quali hanno preso parte decine di migliaia di persone. La piccola salma dell’attivista siriano, i suoi resti, sono stati riposti in una bara avvolta dal nuovo tricolore del paese.
Va ricordato un episodio che lega l’Italia a questa morte. Quando nel marzo del 2017 Mazen prese parte, in qualità di testimone, ad un incontro a “La fornace”, sui Navigli a Milano, a seguito della mostra di “Nome in codice Cesar” – foto dei cadaveri dei prigionieri siriani, trafugate da un uomo dei servizi siriani -, uscirono alcuni articoli di stampa che denigravano quanto mostrato. Perfino Mazen, venne detto da alcuni ambienti della politica e del giornalismo italiano, poteva essere un bugiardo. Quella sera, davanti a una sala pienissima, circondati dai carabinieri e dalla polizia per il timore di aggressioni – viste le minacce da parte di ambienti di estrema destra e della sinistra radicale, magicamente ritrovatesi in armonia nel sostegno di Assad – tutti i presenti rivissero il dramma delle torture.
Mazen, provato da quello che aveva sofferto, dall’esilio, fu avvicinato da persone vicine al governo siriano che lo convinsero a rientrare nel paese con l’inganno. E quel carcere che non lo aveva mai abbandonato se lo è ripreso. Vergogna ai molti, in Italia, che non hanno creduto ai lager siriani. Vergogna a chi, oggi, continua a essere cieco davanti al martirio di una nazione.