Scienza

Malattia del Congo, l’infettivologo: “La malaria contratta più volte determina l’anemia. Il caso di Lucca potrebbe essere influenza”

Il direttore del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino non è stupito dalla notizia che l'80% dei positivi  alla malattia del Congo avevano contratto anche la malaria

Una situazione ancora molto “vaga”, in cui le informazioni anche per gli addetti ai lavori sono poche. Certo è che gli scienziati come Giovanni Di Perri, direttore del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino, non sono stupiti dalla notizia che l’80% dei positivi alla malattia del Congo avevano contratto anche la […]

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Una situazione ancora molto “vaga”, in cui le informazioni anche per gli addetti ai lavori sono poche. Certo è che gli scienziati come Giovanni Di Perri, direttore del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino, non sono stupiti dalla notizia che l’80% dei positivi alla malattia del Congo avevano contratto anche la malaria. Sul paziente di Luccaun uomo rientrato dal Congo e per cui sono ancora attesi i risultati dei test – il medico pensa che “potrebbe aver contratto quando e chissà dove una semplice influenza od altra infezione respiratoria nota ed averla superata”.
​Professore, da giorni siamo bombardati da informazioni su una presunta nuova malattia segnalata nella Repubblica democratica del Congo. Lei che cosa ne pensa?
Dunque, l’idea che mi son fatto è necessariamente vaga, come credo per tutti gli addetti ai lavori. Malattia sostanzialmente respiratoria come sintomi e segni fin qui narrati, in una contrada estremamente remota di un paese geograficamente grande quasi come l’Europa.

Il sintomo che ha innescato le domande più frequenti è l’anemia. Che idea si è fatto?
La presenza di anemia è un fatto sostanziale. Nelle aree endemiche per malaria, tutti i bambini sono anemici e non mi sorprende che l’80% dei campioni sia risultato positivo per malaria. La malaria contratta ripetutamente, praticamente di continuo, determina una progressiva anemia che può raggiungere livelli estremi, nonostante sia generalmente ben sopportata per un meccanismo compensatorio che, in presenza appunto di scarse quantità di emoglobina (il trasportatore di ossigeno nei globuli rossi), determina una più veloce cessione d’ossigeno dai globuli rossi ai tessuti. Ciò si riferisce a quei bambini che, grazie alle cure ed a fattori genetici di un qualche valore protettivo, superano gli attacchi malarici.

In Africa è una malattia conosciuta molto bene
Ricordiamoci che la malaria in quelle aree remote è un formidabile selezionatore umano e che la malaria rimane una delle principali cause di mortalità infantile in aree ad alta endemia e scarse o scarsissime risorse sanitarie. Ma il ben sopportare l’anemia in condizioni normali non vuol dire che l’anemia stessa sia priva di conseguenze. Nella mia esperienza in Africa ho visto spesso bambini anemici contrarre polmoniti gravissime la cui gravità era proporzionale al grado stesso di anemia. Quindi il fatto che un bimbo anemico in area endemica per malaria possa mal sopportare un’infezione respiratoria è fatto ben noto. Un’analisi superficiale dei pochi elementi a disposizione ci dice che gli adulti viventi nella stessa area, e raramente anemici come i bambini, sono dei veri e propri sopravvissuti ed in questo senso rappresentano un prodotto di selezione operata dalla stessa malaria, dalla malnutrizione, altre infezioni , ecc.. Uomini robusti quindi, per i quali l’impatto con questa infezione respiratoria è stato ridotto; a) perché appunto in condizioni migliori e/o b) perché già venuti a contatto con questo sconosciuto agente patogeno del quale il loro sistema immunitario conserva una memoria difensiva evocabile.

Sta cambiando qualcosa nella proliferazione di nuove malattie – il cambiamento climatico, per esempio – o semplicemente il Covid ha creato una allerta permanente​?
Il cambiamento climatico e le possibilità di oggi di trasferire persone ed infezioni in poche ore da un emisfero all’altro hanno certamente fatto circolare virus come il Dengue, il West Nile, il Chikungunya in molti paesi a clima temperato ove mai erano stati presenti. In questo caso gioca un ruolo importante la presenza anche ai nostri climi di zanzare vettrici in grado (generalmente dalla tarda primavera all’autunno) di pungere un viaggiatore infetto proveniente da aree endemiche e di trasferire dopo qualche giorno la stessa infezione ad indigeni nostrani che mai si erano mossi da casa. Ma il fattore principale in questo senso è rappresentato dal numero di abitanti odierni del nostro pianeta. Quando nacqui, ahimè 66 anni fa, eravamo meno di 4 miliardi, oggi siamo più di 9 miliardi di abitanti terrestri. Per vivere ci siamo espansi in territori un tempo disabitati, con sovvertimento dell’habitat naturale di molte specie (disboscamento) e abbiamo creato condizioni di contiguità che hanno permesso e continuano a permettere lo scambio genetico fra specie virali umane ed animali. E credo che la storia purtroppo non sia finita qui.

Saremmo pront​i se dovesse arrivare una nuova pandemia ?
Un errore che oggi non si ripeterebbe è senz’altro quello della ridottissima disponibilità di mascherine filtranti (FFP2) all’inizio della pandemia da COVID-19. Per il resto hanno tutti fatto le stesse cose in termini di provvedimenti di confinamento e distanziamento, e credo che si procederebbe come allora, magari accorciando i tempi di reazione. Il fatto che in pochi mesi si siano allestiti vaccini e farmaci efficaci ci fa credere che potremmo allo stesso modo opporre quella superlativa reazione scientifica che indubbiamente c’è stata. Nella ricerca fruttuosa che portò a questi straordinari risultati in poco tempo vennero cimentate le migliori menti del settore, e forse, la prossima volta, sarebbe il caso che lo stesso discrimine qualitativo di competenze e capacità venisse impiegato dai politici anche sul territorio analitico e decisionale.