“Erano gli anni ’90, avevo scritto la musica per un balletto su Salgari. Durante le prove, sono uscito dietro le quinte e ho incontrato una signora delle pulizie. ‘Bellissima questa musica, mi sono commossa’, mi disse. Lo ricordo come fosse oggi. Quelle parole valevano più di tutti gli applausi dei teatri”. Con questa immagine poetica, Ludovico Einaudi, uno dei compositori e pianisti più amati al mondo, racconta in un’intervista al Corriere della Sera il suo universo musicale, fatto di emozioni, ricordi e un profondo legame con l’umanità.
Con oltre 8 milioni di ascoltatori mensili su Spotify, Einaudi è il quarto artista italiano più ascoltato al mondo, subito dopo i Maneskin. Il segreto del suo successo, spiega, è l’unione della profondità della musica classica alla sensibilità del pop: “La musica è come un romanzo, appartiene a chi l’ascolta”, afferma. “Ognuno la interpreta a modo suo”. Ma c’è anche un elemento chiave nella sua vita e carriera: l’indipendenza. “La mia indipendenza artistica è anche esistenziale, mi permette di non sporcarmi le mani con nessuno. Osservo, ma a distanza. Non è un ambiente che mi piace“: E non risparmia un giudizio sulle figure politiche del momento. Di Giorgia Meloni dice: “Mi sembra una donna intelligente, energica. Le persone che circondano il suo governo, però, non sono persone con cui avrei voglia di passare un pomeriggio”. Su Donald Trump, invece, il tono diventa più severo: “È un matto, uno che abbaia molto. Con i disastri ambientali che stanno accadendo, mi sembra allucinante che voglia ritirare l’accordo di Parigi sul clima”.
Figlio e nipote di due figure emblematiche della storia italiana – Giulio Einaudi, fondatore dell’omonima casa editrice, e Luigi Einaudi, presidente della Repubblica – Ludovico ha un rapporto complesso con la sua eredità: “Mio padre era fascinoso e duro, fece piangere Calvino e Pavese. Era cinico e ironico, si divertiva a punzecchiare e far soffrire gli altri”, ricorda Einaudi. “Non ha mai capito esattamente cosa stessi facendo, cosa studiavo, era completamente sordo verso la musica. Una volta, però, trovai un disco di John Cage nello stereo di casa: quel famoso brano di 4 minuti e 33 secondi di silenzio. Mi sono detto: ecco, ora capisco”.
Einaudi parla con affetto della Langa, luogo delle sue origini, e delle passeggiate familiari verso un bricco che domina le Alpi: “Quando torno a Dogliani, sento che c’è una forza che appartiene ai miei avi, la ritrovo nei luoghi in cui ho vissuto. Lì ho visto un’eclissi con i miei genitori. Ho scritto una musica per quel luogo, Il sentiero dei fossili. Un giorno voglio tenervi un concerto”. Crede in una spiritualità profonda, che si manifesta nella sua musica: “Per me suonare è un momento di comunione, fatto di energia musicale e spirituale”, spiega. E l’aldilà? “Penso ci sia un’energia che non scompare del tutto”, dice.
Nonostante il suo stile sia distante dalla scena musicale attuale, Einaudi guarda al rap con curiosità. “Mi piacciono molto i padri del genere, una collaborazione con Eminem la farei subito. La trap invece mi piace un po’ meno.” Sul Festival di Sanremo, invece, il compositore non ha dubbi: “Ogni tanto cercano di invitarmi, ma non ci vado. Penso che sia una bella vetrina se ne hai bisogno per promuoverti. Ma io mi sento già promosso“.