Cosa vorrebbe essere questo spazio, è tutto nella frase scolpita all’ingresso: “Il memoriale 14 agosto 2018 si trova presso l’ex pila 9 del Ponte Morandi, che crollando ha interrotto la vita di 43 persone. Questo è un presidio di memoria, documentazione, denuncia pubblica e speranza”. Le parole sono importanti. E su quel passaggio, denuncia pubblica, non erano tutti d’accordo. Alla fine ha prevalso la linea imposta dalla voce più titolata, e cioè quella del Comitato delle vittime del Ponte Morandi: quella di Genova non può essere ricordata come una “tragedia”, una retorica in cui sono scivolati spesso alcune commemorazioni ufficiali, perché è stata una strage. “Questo luogo deve essere un antidoto all’oblio – dice Egle Possetti, la portavoce dei familiari delle vittime -. Un edificio che con il suo candore esterno custodisce un pezzo oscuro della storia di questo Paese”.

Stefano Boeri, la mente che ha coordinato il team di architetti che ha progettato e realizzato il memoriale dedicato al disastro di Genova, racconta come l’idea sia nata proprio dalla sua storia: “Non aveva senso costruire una struttura nuova, quando c’era già questo spazio, che è quello che ha accolto le macerie del Ponte Morandi“. Del vecchio hangar, che ha ospitato il corpo ferito del vecchio viadotto, non restano che alcune mura perimetrali. Il progetto è ancora in divenire, ma oggi, a sei anni e mezzo dalla catastrofe, si vede già molto: le sale immersive dedicate alla memoria, le installazioni multimediali, il contributo dei giornalisti, il tributo alle 43 vittime, lo spazio dedicato all’inchiesta penale della Procura di Genova e della Guardia di Finanza. Una parte dell’allestimento riguarda il processo – dove sono imputate 58 persone, ex dirigenti e funzionari di Autostrade per l’Italia, Spea Engineering e del Ministero delle Infrastrutture – ed è inevitabilmente in corso di aggiornamento. In fondo, la speranza, simboleggiata da una serra bioclimatica, la rinascita della vita, o almeno di una vita. Passaggi scanditi dalle musiche originali del maestro Remo Anzovino, negli spazi allestiti dai contenuti allestiti da Ett e Will Media, e curati da Maria Oddo.

A poche decine di metri c’è il capannone abbandonato dove lavoravano e sono morti Alessandro Campora, Bruno Casagrande e Mirko Vicini. Paola, madre di Mirko, è tra i familiari che hanno voluto essere presente oggi, sfidando la ferita che rappresentano questi luoghi. “Sono rimasto colpito dal senso civico di queste persone, che hanno scelto di non perdere una goccia del loro dolore privato per trasformarlo in coscienza civica collettiva – dice ancora Boeri – Questo non deve essere un museo, ma un luogo di memoria attiva”.

Dove un tempo sorgevano le pile del viadotto disegnato da Riccardo Morandi adesso si staglia il nuovo ponte di San Giorgio disegnato da Renzo Piano. “Non basta realizzare nuovi ponti – continua Possetti – devono essere costruiti anche i ponti con il passato, per evitare di commettere gli stessi errori”. E questa è la vera sfida: “Il memoriale non deve diventare una cattedrale nel deserto”.

Per raggiungere questo obiettivo ci sono ancora molte incognite da sciogliere, che riguardano la gestione di questi spazi, in cui è previsto il rientro di parti delle macerie ancora oggi a disposizione del processo, ma anche la loro vocazione. Fra le idee di Boeri c’è quella di creare un centro studi di ricerca universitaria, dedicato proprio alla lotta all’incuria e al degrado, e ai disastri provocati dall’uomo. Un altro modo per guardare avanti, insomma, diverso da alcuni eccessi di euforia che hanno accompagnato la ricostruzione del nuovo ponte e sono entrati in rotta di collisione con chi piange le vittime del crollo.

Fra il pubblico sono presenti, fra gli altri, diversi parlamentari e politici locali, soccorritori, forze dell’ordine e magistrati, tra cui due ex procuratori: Franco Cozzi, coordinatore delle indagini, e Michele Di Lecce, a cui è stato affidato il protocollo antimafia durante la ricostruzione. “Avremmo preferito più presenza delle istituzioni”, dice con una punta di amarezza Possetti. Alla cerimonia ufficiale di inaugurazione intervengono il neo presidente della Regione Liguria Marco Bucci e il reggente che lo ha sostituito quando ha lasciato la poltrona di sindaco di Genova, Pietro Piciocchi: “Questo è un punto di partenza – dice Bucci – Un luogo di dolore e di speranza”. Il governo ha mandato il sottosegretario alle Infrastrutture Edoardo Rixi, protagonista di un discorso molto politico: “Dispiace che fra il 2020 e il 2021 il governo italiano non abbia avuto il coraggio di riscrivere le regole delle concessioni e si sia accontentato di cambiare la proprietà. Questa storia simboleggia il fallimento dello Stato, che si è girato dall’altra parte, e di concessioni senza controlli. Lo Stato deve garantire la sicurezza dei cittadini, non ad altro, gestire e controllare le pressioni economiche che arrivano dal sistema delle concessioni”.

Sembra quasi un avviso ai naviganti, in un momento molto delicato per la partita delle concessioni autostradali: sul tavolo del governo c’è infatti il dossier Autostrade per l’Italia, oggetto di un ricorso alla Corte di giustizia europea. Il ricorso, portato avanti da Adusbef, contesta la legittimità dell’operazione che ha portato a ricomprarsi le autostrade dalla famiglia Benetton, e in particolare la presunta violazione delle norme sulla concorrenza europea, senza rimettere a gara le concessioni. Una patata bollente che è stata rimandata dai giudici di Strasburgo al Tar del Lazio.

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