Politica

Altro che destra sociale: la politica di Meloni è tutta per i colletti bianchi (spesso sporchi)

Pochi giorni fa il New York Times ha dedicato un lungo servizio quasi lusinghiero alla premier italiana, elogiandone l’astuto pragmatismo. L’editorialista accostava poi Meloni a Trump, sostenendo che la prima poteva essere la testa di ponte del trumpismo in Europa. Orban, si sa, non è presentabile.

L’accostamento però, seppur seducente, è politicamente sbagliato e fuorviante. Negli Usa Trump tiene prigioniero (ma fino a quando?) il partito conservatore con le truppe armate del MAGA, mentre in Italia Meloni è invece ostaggio della sua coalizione. Questo non le nuoce e anzi il suo successo in termini di consenso dopo due anni di governo deriva probabilmente dal tradimento della sua identità originaria.

Tolta la tuta mimetica da combattente all’opposizione con il suo 4%, Meloni ha indossato senza problemi l’abito di gala e non si sente per nulla a disagio a cena con il plutocrate Elon Musk. L’ampio consenso di cui gode, che poi sarebbe il 30% dei votanti e quindi di appena un 15% sul totale degli elettori, non una gran cosa, deriva dal fatto che del programma della destra sociale non è rimasto nulla, solo macerie. L’appuntamento con i gravi problemi dell’economia e della società italiana è rimandato, come se non ci fosse un domani.

Ecco alcuni tasselli della nuova Meloni. Sul piano economico in primo luogo. La destra sociale era solita frequentare le periferie per dare un po’ di conforto ai diseredati, magari con pacchi alimentari. Quindi uno si sarebbe aspettato che la premier si desse da fare per approvare la legge sul salario minimo che schiaccia quasi tre milioni di lavoratori italiani. Il parlamento, al contrario, ha licenziato la legge sull’equo compenso che legalizza le rendite parassitarie dei professionisti, colpite ma non affondate a suo tempo da Bersani. Quindi un regalo al detestato capitalismo delle professioni.

Anche l’idea di tassare le banche non è andata a buon fine per l’opposizione di Fi. Anzi, le mancate entrate per lo Stato si sono trasformate in capitale sociale per i grandi gruppi bancari con una colossale beffa. Tosare i super profitti delle banche era un’occasione ghiotta per fare qualcosa che rientrasse nel repertorio della destra sociale. E gli esempi di come la premier si sia collocata saldamente dalla parte dei poteri forti contro i cittadini potrebbero continuare.

Niente lenzuolate per la gente comune alla Bersani. La destra di Meloni è tutta per i colletti bianchi (spesso molto sporchi in realtà). Ma è sul piano dei valori che la fatale mutazione genetica appare più completa e ipocrita. Anche qui un paio di casi esemplari.

Il partito di Meloni ha fatto della gestazione per altri un reato universale. Universale significa che la polizia italiana può intervenire su tutto il globo. Allora non si comprendono le foto che ritraggono la premier al tavolo con Musk che ha ben sei figli per questa via illegittima. Se il plutocrate metterà piede in Italia, dove si sta facendo costruire una villa da sogno, verrà, spero, arrestato. In compenso appena l’anno scorso è stato invitato alla festa di Fratelli d’Italia. Evidentemente il miliardario è per Meloni al di sopra della legge italiana.

Sempre sul piano dei valori, la destra meloniana ha cancellato dal suo Dna il principio del dovere fiscale. La destra missina di un tempo aveva tra le poche virtù un alto senso del dovere e dello Stato. Il viceministro Leo con la sua indecente delega fiscale ci ha confermato che in Italia solo i fessi, cioè i lavoratori dipendenti e i pensionati, pagano le tasse. Per gli altri ci sono aliquote super ridotte oppure sanzioni agevolate nel remotissimo caso di essere scoperti.

Un fisco a favore dell’evasore incallito al 110%, nei confronti del quale il buco del bonus edilizio di Conte è quasi una bazzecola. Insomma, la legge fiscale non è eguale per tutti.

Che conclusioni possiamo trarre allora da questa raccolta di indizi che ci possono spiegare il buon e sorprendente galleggiamento di Meloni? Qui ci viene in auto il grande Tolkien, l’autore del Signore deli Anelli. Dicono che la premier, come pure a suo il sottoscritto, ne sia entusiasta anche se dubito, data la mole, che lo abbia mai letto per intero. Credo che Meloni si identifichi nei panni del mite Frodo Baggins a cui la sorte assegna la missione di distruggere l’Anello del potere.

Ma più che il simpatico Hobbit la nostra premier mi ricorda un altro personaggio, Smeàgol-Gollum, una figura consumata dal possesso dell’Anello che gli ha allungato la vita in modo innaturale portandolo alla pazzia. Questo personaggio è stato reso meravigliosamente nel film di Peter Jackson. Gollum è per natura servile e sempre pronto a favorire chiunque gli possa ridare il suo tesoro, l’Anello del potere. Un po’ come Meloni è sempre pronta a fare concessioni a tutti i suoi alleati pur di mantenere l’ambita poltrona del comando, rinunciando definitivamente ai suoi valori e ideali. Un caso di cinico trasformismo politico da manuale.

Dove ci sta portando l’involuzione di Meloni-Frodo in Meloni-Gollum? Per ora la strategia è quella di nascondere i problemi, ostentare un fatuo ottimismo, accontentare le cerchie amicali e di potere più o meno grandi. Un po’ alla Trump insomma, ma con molti meno miliardari di contorno solo perché l’Italietta sovranista non ne ha. Non pare che ci sia nessuna intenzione di fondere l’anello del potere, per liberarsene nella desolazione dei vulcani di Mordor come ha fatto il generoso Frodo, per dare finalmente voce ai cittadini e liberare le potenzialità che la società italiana può esprimere, come dovrebbe fare una vera statista.