Quasi un milione di posti di lavoro in due anni numero per il quale Silvio Berlusconi sarebbe fiero, il finanziamento alla sanità “più alto di sempre”, la missione Albania sull’immigrazione che “fa scuola in Europa” e “funzionerà”. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni blinda il governo dal palco di Atreju, nel discorso conclusivo della festa di Fratelli d’Italia, assegnandosi una pagella con promozione. Meloni assicura lunga vita al suo governo: “Arriveremo fino alla fine della legislatura”. E riconferma l’anno prossimo come quello delle riforme, sia l’autonomia (già smontata dalla Consulta) sia il premierato (impantanato in Parlamento), frase che aveva già pronunciato a fine 2023 in riferimento al 2024 che sta per finire. Un comizio durato oltre un’ora, con passaggi in cui la voce si alza in maniera decisa, tutto all’attacco come per sua abitudine, tutto appoggiato sulla polemica contro i totem degli avversari politici: Elly Schlein, Giuseppe Conte, Maurizio Landini, Roberto Saviano, perfino Romano Prodi tornato imprevedibilmente alla ribalta – con questa “dedica” – sulla scena politica. E se c’è qualche problema ancora da risolvere – e ce ne sono, ammette Meloni, anche se il 21esimo ribasso nella produzione industriale è ridotto a un accenno – è soprattutto perché i governi precedenti non avevano fatto abbastanza. “Molti hanno scommesso sul nostro fallimento e hanno puntato sul cavallo sbagliato. L’Italia torna a essere un modello” è la certificazione della presidente del Consiglio. Le direttrici del ragionamento restano quelle che si è riusciti a imparare a conoscere in questi oltre due anni: l’Italia torna a essere protagonista dopo essere rimasta ai margini, il governo vince anzi stravince nonostante gli “uccelli del malaugurio”. “Ogni volta che siamo stati dati per spacciati noi abbiamo preso in mano il nostro destino lasciando tutti a bocca aperta – scandisce la premier dal palco del Circo Massimo -. Ci siamo rialzato mille molte, lo faremo ancora, lo stiamo facendo rispondendo con i fatti ai tanti, troppi uccelli del malaugurio che tifano contro la nazione per sperare di elemosinare un po’ di potere personale sulla pelle di milioni di connazionali”.

Il passaggio più netto è – con coraggio – sul progetto Albania, finito nel polverone delle polemiche per gli alti costi, per lo scontro con la magistratura, ma soprattutto per la praticabilità rispetto alle leggi europee. Meloni giura che il centro di Gjader “fun-zio-ne-rà” (così lo scandisce dal microfono) “dovessi passarci ogni notte da qui alla fine del governo italiano. Perché io voglio combattere la mafia e chiedo a tutto lo Stato italiano, alle persone perbene, di aiutarmi a combattere la mafia. Non sono io il nemico, io sono una persona perbene”. La mafia? Il nemico? Meloni in effetti lega nel suo discorso l’iniziativa della “esternalizzazione” della gestione dei flussi migratori a quella che chiama “deterrenza“: “Se chi sbarca in Italia ha l’unico obiettivo di restare in Europa, sbarcare fuori dai confini cambia tutto. Per questo il protocollo in Albania è in assoluto” lo strumento “più temuto dai trafficanti: fermare l’iniziativa sarebbe il più grande favore ai trafficanti”. Per questo i magistrati che si sono pronunciati finora dovrebbero fare più attenzione alle conseguenze delle loro decisioni. Ed è per questo motivo, dall’altra parte, che il modello Albania fa “scuola in tutta Europa” ribadisce Meloni. Intanto all’Europa, cioè alla Corte europea di giustizia, è appesa in realtà l’Italia per capire che fine farà il “decreto Paesi sicuri”, disapplicato da diversi tribunali perché in contrasto con la legislazione comunitaria. Nel frattempo la premier si dice “molto colpita” dalla “storia della piccola Yasmine, rimasta tenacemente in acqua, unica sopravvissuta al naufragio. Le voglio mandare un abbraccio affettuoso, a lei e alle vittime di trafficanti di esseri umani dico che combatteremo senza tregua contro questi sistemi criminali”.

Sulla sanità il confronto aperto è con Schlein che sul tema batte ogni giorni. “Con questo governo c’è lo stanziamento per la sanità più alto di sempre – ribadisce la premier -. Il calcolo non è difficile, si fa perfino senza calcolatrice, che l’ultima volta non è andata bene… L’aumento è di 10 miliardi negli ultimi due anni. Prima dell’arrivo di questo governo, quando c’erano quelli che ora dicono che non spendiamo abbastanza, negli ultimi 4 anni il fondo sanitario era aumentato di 8 miliardi. Con quale faccia dicono che non abbiamo fatto bene? La calcolatrice serve a voi. Non sono neanche 10 miliardi ma 12, perché vanno aggiunti quelli degli accordi di coesione e 750 milioni di euro dalla revisione del Pnrr”. L’obiezione secondo la quale il raffronto delle risorse impegnate potrebbe (o dovrebbe) essere fatto in proporzione al Pil viene risolta da Meloni dicendo che questo è un salto logico acrobatico come quelli di Tania Cagnotto. Quanto al capitolo Stellantis – dossier bollente sul tavolo del ministro Adolfo Urso – “il nostro approccio è molto diverso dalla sinistra” giura la presidente del Consiglio. “Non abbiamo pregiudizi ne facciamo favoritismi, vale per Stellantis come per le altre aziende, se l’approccio è costruttivo faremo la nostra parte come fatto finora perché quando si tratta di difendere occupazione e crescita ci trovate in prima fila a noi, perché il Pd non l’abbiamo visto arrivare”. Il mirino è di nuovo sulla segretaria del Pd alla quale – ironizza Meloni – “si inceppa la lingua quando deve dire Stellantis”. E casomai è colpa di quelli di prima: ecco il colpo a Giuseppe Conte, ieri ospite di Atreju. “Io ricordo quando il governo Conte scelse di non esercitare i poteri speciali sull’operazione di fusione tra Fiat Chrysler e Peugeot – afferma Meloni – Ricordo quando lo stesso Conte II concesse un prestito di 6,5 miliardi di euro a Fiat Chrysler che era però vincolato al rafforzamento della filiera produttiva, solo che non è mai successo. E’ successo invece che l’anno successivo Fiat Chrysler staccasse un assegno da circa 5,5 miliardi di dividendo per i suoi soci alla faccia degli operai. Ma lo ricordo soprattutto per dire che il nostro approccio su queste materie è molto diverso da quello della sinistra. Noi non abbiamo pregiudizi. E non facciamo favoritismi. Noi valutiamo le questioni nel merito. Vale per Stellantis come vale per qualsiasi altra azienda che opera in Italia. Se l’approccio è costruttivo, se c’è la volontà di mantenere i livelli occupazionali e la produzione in Italia, noi faremo la nostra parte come abbiamo sempre fatto finora perché quando si tratta di difendere i lavoratori, l’occupazione e la crescita in questa nazione ci trovate in prima fila”. Le pensioni? “Ci deridono perché in manovra le pensioni minime aumentano solo di pochi euro. È vero. Ma ci sono difficoltà perché per anni le risorse sono state buttate dalla finestra. Non dicono che quando erano al governo loro le pensioni minime sono aumentate di 23 euro in 8 anni. Con questo governo sono aumentate di 91 euro in due anni e questo importo arriverà a 100 euro e lo supererà per i pensionati in maggiore difficoltà. Forse non abbiamo fatto abbastanza ma certo fatto abbiamo meglio di loro”. Tanto basta.

Meloni snocciola le cifre che fotografano la salute dell’economia, usando anche i bollini di qualità dell’Economist e delle agenzie di rating che un tempo erano accusati da Meloni rispettivamente di avere “visioni macchiettistiche dell’Italia” e di decidere i governi più adatti in barba agli esiti delle elezioni. “Non sto dicendo che in Italia va tutto bene, non sto dicendo che risultati positivi dipendono tutti dal governo – concede la premier – Sto dicendo solo che le cose vanno meglio e che alla fine si è dimostrato quello che noi sosteniamo da sempre: che in Italia è la destra a difendere i lavoratori, perché la sinistra era troppo impegnata a difendere gli interessi delle grandi concentrazioni economiche“. “Parlano di lavoro sottopagato e di una legge sul salario minimo che però non hanno mai presentato quando governavano – incalza – però è stato questo governo a mettere una media di 100 euro in più al mese in busta paga ai lavoratori con i redditi bassi, mentre i sindacati, Landini compreso, firmavano i contratti con una paga da 5 euro l’ora”.

L’altro fronte è infatti aperto proprio il leader della Cgil “costretto ad alzare i toni – secondo la presidente del Consiglio – perché i suoi argomenti sono deboli e anche perché non può dire la verità che gli scioperi non li fa per aiutare i lavoratori ma la sinistra solo che da parecchio tempo chi aiuta la sinistra non aiuta i lavoratori”. Landini, per la premier, con il suo “incitamento alla rivolta sociale” ha usato “toni che non hanno precedenti nella storia sindacale italiano, se li avessimo utilizzati noi sarebbero arrivati i caschi blu dell’Onu”.

E ce n’è per Romano Prodi le cui critiche al governo sono definite dalla premier “improperi isterici“. Quando li ha letti, racconta Meloni, ha “aperto una bottiglia del mio vino migliore e ho brindato a me stessa, ogni patriota deve essere fiero perché siamo ancora dalla parte giusta della storia”. Il punto di partenza era una dichiarazione dell’ex presidente del Consiglio per il quale “l’estabilishment adora Meloni perché obbedisce”. Frase che fa vedere rosso alla sua successora: “Voglio dire a Romano prodi che diverse cose che ha fatto nella sua vita, dalla svendita dell’Iri a come l’Italia entrò nell’euro, passando per il ruolo determinante nell’ingresso della Cina nel Wto, dimostrano che di obbedienza se ne intende parecchio. Da persone come lui abbiamo imparato che obbedire non porta bene né alla nazione né all’Europa, e abbiamo fatto una scelta diametralmente opposta”.

Su quelli che rivendica come successi nella lotta alla criminalità organizzata il bersaglio diventa – en passant – Roberto Saviano, con ripescaggio della vecchia polemica sui suoi guadagni per il suo lavoro sulla mafia: “Abbiamo buttato fuori la camorra dalla gestione delle domande per i nulla osta dei migranti regolari così come abbiamo buttato fuori i camorristi che occupavano le case popolari a Caivano, e anche qui i complimenti dei guru dell’antimafia alla Roberto Saviano li aspettiamo domani, fosse mai che non ci sia più nulla su cui fare una serie televisiva milionaria”. Quanto al ddl sicurezza, contro il quale ieri hanno manifestato decine di migliaia di persone in centro a Roma, la presidente del Consiglio la taglia corto così: “Ho visto che c’è una mobilitazione di attori, cantanti: avrà la stessa efficacia della mobilitazione di Hollywood contro Donald Trump“.

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