Le novità sul caso del ragazzo ucciso a Verona Porta Nuova sono emerse durante una conferenza stampa che il comitato Verità e giustizia per Moussa ha tenuto nel piazzale della stazione
Non si era drogato e non era ubriaco. Si diradano alcune ombre nel caso di Moussa Diarra, il ventiseienne maliano ucciso il 20 ottobre davanti alla stazione Verona Porta Nuova da un colpo di pistola sparato da un poliziotto. Ma se ne addensano altre. Gli esiti degli esami tossicologici sulla vittima introducono nuovi interrogativi sulla […]
Non si era drogato e non era ubriaco. Si diradano alcune ombre nel caso di Moussa Diarra, il ventiseienne maliano ucciso il 20 ottobre davanti alla stazione Verona Porta Nuova da un colpo di pistola sparato da un poliziotto. Ma se ne addensano altre. Gli esiti degli esami tossicologici sulla vittima introducono nuovi interrogativi sulla dinamica e sulla appropriatezza dell’intervento dei due agenti della Polfer per frenare gli eccessi del giovane, che si era avventato contro le vetrine della tabaccheria e della biglietteria.
Nel frattempo spunta un testimone, che avrebbe assistito alla scena e potrebbe raccontare una versione diversa da quella finora fatta propria dalla Procura della Repubblica, sulla base delle dichiarazioni dei poliziotti e dei primi riscontri, che hanno portato alla contestazione dell’eccesso colposo di legittima difesa.
Entrambe le circostanze sono emerse durante una conferenza stampa che il comitato Verità e giustizia per Moussa ha tenuto nel piazzale della stazione. Perché è stata usata un’arma se il maliano non era in uno stato di alterazione dovuta agli stupefacenti? Qual è stato davvero il suo comportamento? Chi può sostenere che egli impugnasse un coltello e lo brandisse contro gli agenti, così da giustificare i tre colpi di pistola, uno dei quali lo ha raggiunto al torace? Queste alcune delle domande ripetute da Giorgio Brasola, portavoce del Laboratorio Paratodos che a Verona si occupa di immigrati senza casa.
Non vi sono ancora i riscontri farmacologici, che probabilmente saranno positivi, visto che Moussa assumeva psicofarmaci per combattere una depressione che lo aveva colpito dopo la morte del padre. “Quella mattina Moussa cercava aiuto – è la denuncia – erano due ore che girava dentro la stazione e nelle zone limitrofe in uno stato di alterazione psicologica e nessuno, dalla polizia locale alla Polfer, ha chiamato un’ambulanza”.
L’esistenza di un testimone oculare ha indotto Paola Malavolta e Francesca Campostrini, le due avvocatesse del fratello di Moussa, a chiedere agli inquirenti che venga interrogato. La sua versione potrebbe essere messa a confronto con quella dei due poliziotti e con le immagini delle telecamere interne ed esterne alla stazione, che documentano la sequenza dell’avvicinamento a Moussa e dei colpi sparati con la pistola d’ordinanza.
Qualche giorno fa il procuratore Raffaele Tito ha fatto il punto sulla collocazione delle telecamere. Delle tre poste all’esterno, una ha ripreso la caduta di Moussa, ma da lontano e da posizione laterale. Almeno una decina quelle nell’atrio interno della stazione all’interno, che hanno ripreso il movimento di alcune persone, mentre una “pur apparentemente funzionando non ha però registrato immagini”.
Commento del Comitato: “Chiediamo verità e giustizia per Moussa. Dopo il comunicato della Procura, vogliamo che siano messi a disposizione tutti i filmati e gli atti, perché i periti possano ricostruire cosa è accaduto. Se le telecamere, come dovrebbe essere, non possono e non dovrebbero essere state manipolate non vediamo perché fare mistero di questi video”.
Durante la conferenza stampa è stato ricordato il caso di un tifoso bresciano, Paolo Scaroni che il 24 settembre 2005 era rimasto vittima di un pestaggio delle forze di polizia proprio in stazione a Verona. Per due mesi era rimasto in coma, si è salvato, ma con una invalidità del 100 per cento a seguito delle lesioni subite. È stato risarcito dal ministero dell’Interno, ma nessun poliziotto è stato condannato, per l’impossibilità di identificare individualmente quelli che lo avevano colpito. Diego Piccinelli, presidente dell’associazione Tifosi del Brescia 1911 e Umberto Gobbi di Radio Onda D’Urto hanno riproposto una vicenda lontana nel tempo, che ha avuto uno sconcertante risvolto. Dalle motivazioni del processo (concluso con le assoluzioni) erano emersi “plurimi e seri motivi che inducono a ritenere che le riprese siano state artatamente manomesse per impedire una corretta ricostruzione degli eventi”. Mancavano immagini delle cariche di polizia e il sonoro di un ragazzo che urlava mentre veniva picchiato. Gli amici di Moussa: “Un caso del genere non deve ripetersi”.