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Altro che peacekeeper, l’Ue pronta a mandare altre armi in Ucraina: “Kiev chiede solo quello”. Budapest: “Serve un cessate il fuoco”

A Bruxelles si riuniscono i ministri degli Esteri Ue. L'Alta rappresentante Kallas: "La Russia non ha abbandonato i suoi obiettivi. Non possiamo discutere di forze di pace". Il ministro ungherese: "Nemmeno Natale smorza l'atmosfera di guerra, ci si prepara ad altri 6 miliardi in forniture militari, non cederemo"

Altro che peacekeeper in Ucraina come avevano cominciato a parlare il presidente francese Emmanuel Macron e il premier polacco Donald Tusk. I Paesi dell’Ue si riuniscono per dare il via al 15esimo pacchetto di sanzioni alla Russia, ma soprattutto – come sottolinea il ministro degli Esteri ungherese – altri 6 miliardi di euro in forniture di armi, bloccati finora dal veto dell’Ungheria. Vista da questa prospettiva la luce già flebile di una tregua natalizia è già tramontata, ma anche un cessate il fuoco “entro l’inverno” – come auspicato proprio dalla Polonia – sembra piuttosto improbabile. A Bruxelles è in programma il primo vertice dei ministri degli Esteri dell’Unione. L’Alta rappresentante per la politica estera, l’ex premier dell’Estonia Kaja Kallas, tira il freno a mano sui ragionamenti per un dopoguerra: “Per mandare i peacekeeper deve esserci la pace. E la Russia non la vuole, è molto chiaro. Se ascoltiamo l’intervista di Sergei Lavrov a Tucker Carlson, è evidente che non hanno abbandonato i loro obiettivi. Non possiamo discutere” di mandare forze di pace. Una posizione ribadita – per esempio – da un altro Paese vicino al confine con la Russia, cioè la Svezia: “Penso che questa discussione sia un po’ troppo prematura a questo punto e che spetterà innanzitutto all’Ucraina decidere quando, come e se negoziare” taglia corto la ministra degli Esteri del governo di Stoccolma, Maria Malmer Stenergard. Rimane coperto anche il ministro degli Esteri olandese Caspar Veldkamp: “Se ci sarà la tregua in Ucraina chiaramente ci sarà un ruolo per gli europei, ma è troppo presto per speculare. Volodymyr Zelensky ha parlato di una soluzione diplomatica nel 2025 ma dobbiamo sostenere Kiev fino a quando sarà nella posizione di negoziare”.

Il ministro dell’Estonia Margus Tsakhna estrae un messaggio più esplicito da questa linea di ragionamento: “Gli ucraini non chiedono alcun tipo di missione. Chiedono armi, chiedono difesa, chiedono sostegno. Diamoglieli”. Il presidente russo Vladimir Putin – continua Tsakhna – “non ha cambiato il suo obiettivo”, quello di “abbattere il governo ucraino e l’Ucraina come Stato democratico”, aggiunge, e per Kiev “la garanzia di sicurezza più efficiente e duratura è l’adesione alla Nato“. Messaggio ribadito dal governo della Lettonia: “Per ora non vediamo la Russia rinunciare a nulla. Tutti gli indicatori mostrano che la Russia vuole continuare a combattere. Non c’è alcuna mossa” che faccia presagire “colloqui di pace” dice la ministra degli Esteri Baiba Braze. “Quindi – aggiunge – per garantire che ciò accada ad un certo punto, l’Ucraina deve essere più forte possibile sul campo di battaglia. Quindi ci concentriamo su questo: dobbiamo continuare a fornire all’Ucraina ciò di cui ha bisogno e a proteggere le sue infrastrutture energetiche”. Ieri era tornato a parlare anche lo stesso Macron che – lungi dal proseguire sulla strada dell’accelerazione verso l’organizzazione di un dopoguerra – ha ricordato che “la Francia sosterrà l’Ucraina tanto intensamente e a lungo quanto sarà necessario, allo scopo di creare le condizioni di una pace giusta e duratura, nel rispetto dei diritti legittimi dell’Ucraina”.

Così resta solo l’Ungheria a fare la parte di chi stona nel coro. Il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjartó su facebook commenta: “Nemmeno l’avvicinarsi del Natale può smorzare l’atmosfera di guerra. Anche se è stata ventilata la possibilità di un cessate il fuoco natalizio e di uno scambio di prigionieri di massa, oggi si vogliono liberare di nuovo più di 6 miliardi di euro per il costo delle forniture di armi, si spingono gli ucraini a mandare al fronte ragazzi di 18 anni. Oggi ci sarà una grande battaglia, ma non cederemo alla posizione favorevole alla pace: abbiamo bisogno di un cessate il fuoco in Ucraina, non di più armi!”. Da settimane funzionari e diplomatici dell’Unione europea stanno studiando un piano per aggirare il veto dell’Ungheria sull’assistenza militare all’Ucraina, per la quale si registra un “arretrato”, per così dire, di 6,6 miliardi di euro di aiuti a Kiev. Il piano, ancora in fase iniziale, prevede una modifica del Fondo europeo per la pace (Epf), lo strumento fuori bilancio utilizzato dall’Ue per rimborsare parzialmente gli Stati membri che forniscono armi e munizioni a Kiev. L’idea principale sul tavolo è quella di consentire agli Stati membri di versare contributi finanziari all’Epf su base volontaria, anziché obbligatoria.

Il ministro ungherese Szijjartó apre tra l’altro un altro fronte sottolineando che ai vertici dell’Ue spunta l’ipotesi di inserire nelle sanzioni anche i funzionari georgiani “perché il popolo georgiano ha osato eleggere da solo un governo sovrano”. Su questo Kallas spiega: “Discutiamo di sanzioni nei confronti di persone” ritenute responsabili della repressione contro le manifestazioni pro europee. “La lista di persone da sanzionare è già stata proposta. La stiamo discutendo, ma tutti devono concordare e non ci siamo ancora”. Tutti d’accordo, invece, sul nuovo pacchetto di sanzioni, il 15esimo, a personalità o entità considerate vicine al Cremlino. Il pacchetto approvato dai ministri include 54 persone e 30 entità responsabili di azioni che minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina. Le sanzioni mirano inoltre a colpire le petroliere non dell’Ue che fanno parte della flotta ombra di Putin che elude il meccanismo del tetto massimo dei prezzi del petrolio o che sostengono il settore energetico della Russia, o anche le navi responsabili del trasporto di attrezzature militari per la Russia o coinvolte nel trasporto di grano ucraino rubato. In totale, sono 52 imbarcazioni.

I provvedimenti di Bruxelles mirano a colpire anche la guerra ibrida di Mosca. Per questo ha imposto misure restrittive contro 16 persone e tre entità per rispondere alle attività destabilizzanti della Russia contro l’Ue, i suoi Stati membri e i suoi partner. Tra questi c’è anche l’Unità GRU 29155, un’unità segreta dell’agenzia di intelligence militare russa nota per il suo coinvolgimento in omicidi all’estero e attività di destabilizzazione come attentati e attacchi informatici in tutta Europa. Il Consiglio ha poi deciso di inserire nella lista nera il Groupe Panafricain pour le Commerce et l’Investissement, una rete di disinformazione che svolge operazioni di influenza occulta pro-russa, in particolare nella Repubblica Centrafricana e in Burkina Faso, e il suo fondatore, Harouna Douamba. Inoltre, il Consiglio ha sanzionato African Initiative, un’agenzia di stampa coinvolta nella diffusione della propaganda e della disinformazione russa nel continente africano, il suo caporedattore e un funzionario del Servizio di sicurezza federale russo (FSB) coinvolto in campagne di disinformazione coordinate, sia in Europa che in Africa, Artem Kureev, nonché un alto funzionario militare del GRU che ha rilevato le operazioni del Gruppo Wagner in Africa dopo la morte di Yevgeny Prigozhin. Le sanzioni riguardano poi anche Vladimir Sergiyenko, ex assistente parlamentare del deputato del Bundestag tedesco Eugen Schmidt che ha collaborato attivamente con i funzionari dell’intelligence russa, e un imprenditore russo, Visa Mizaev, e il suo socio d’affari e la moglie che hanno svolto un ruolo chiave in un’operazione dell’intelligence russa contro il Servizio federale di intelligence tedesco (BND) in cui sono state trasmesse informazioni altamente classificate all’FSB. Infine, il Consiglio ha preso di mira anche i collaboratori del governo della Federazione Russa in Francia: Alesya Miloradovich, dipendente del governo russo, e Anatolii Prizenko, uomo d’affari moldavo che ha coordinato l’invio di diversi cittadini moldavi in Francia nell’ottobre 2023.

Nel frattempo non ci sono solo le parole dei politici. Ci sono anche i fatti. Ed è notizia di oggi che sarà il Portogallo a fare da base per l’addestramento dei piloti ucraini di caccia F-16. L’attività di formazione è fornita dalla Norvegia, che dall’autunno del 2023 contribuisce con velivoli e istruttori alle esercitazioni dei piloti ucraini in Danimarca, ma ha ora deciso di trasferire in Portogallo questo tipo di attività di sostegno. A renderlo noto è stata proprio Oslo. “Il Portogallo sta raccogliendo il testimone dalla Danimarca, anche se per un periodo più breve, e poi toccherà alla Coalizione delle Forze aeree decidere”, ha affermato il ministro norvegese della Difesa, Arild Gram, sottolineando che “la lotta che gli ucraini stanno combattendo è esistenziale sia per la Norvegia che per la sicurezza di tutta l’Europa”. La coalizione internazionale di F-16 è stata creata a luglio dell’anno scorso ed è guidata da Danimarca e Paesi Bassi. A essa si è unito anche il Portogallo, ma solo nella componente dell’addestramento. Lo scorso febbraio, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha incontrato a Kiev l’allora ministro degli Esteri portoghese, João Gomes Cravinho, e gli ha chiesto che anche Lisbona prendesse in considerazione l’invio di velivoli. Nella stessa occasione, il capo di gabinetto della presidenza ucraina, Ihor Zhovkva, aveva dichiarato di sperare che dopo le legislative di marzo il Portogallo aumentasse il suo sostegno militare a Kiev, definito allora “piuttosto modesto“.

Ieri, come sempre voce isolata, Papa Francesco durante l’Angelus pronunciato dalla Corsica era tornato a fare i suoi appelli di pace. “Pace per tutte le terre che si affacciano su questo mare, specialmente per la Terra Santa dove Maria ha dato alla luce Gesù. Pace per la Palestina, per Israele, per il Libano, per la Siria, per tutto il Medio Oriente! Pace per il Myanmar. E la Santa Madre di Dio ottenga la sospirata pace per il popolo ucraino e il popolo russo. Sono fratelli, sono cugini, che si intendano. La guerra è sempre una sconfitta. Pace”.

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Nella foto in alto | Da sinistra il ministro degli Esteri estone Tsakhna, l’Alta rappresentante della politica estera dell’Ue Kallas e il ministro degli Esteri lettone Braze