Il caso dell’influencer Eleonora Arcidiacono, che ha raccontato il suo disagio durante un evento di Victoria’s Secret, offre uno spunto di riflessione sulle dinamiche nascoste del mondo patinato dei social media. La sua esperienza, definita “traumatica”, e le critiche rivolte ad alcune colleghe influencer hanno sollevato una domanda cruciale: cosa c’è davvero dietro il luccichio di un mondo costruito sull’apparenza?

La cultura della perfezione che domina il panorama social ha radici profonde. I feed di Instagram e TikTok sono spesso vetrine di vite irreali, dove ogni imperfezione viene rimossa con un filtro, ogni sorriso è studiato, ogni outfit scelto per impressionare. In questo contesto, l’idea stessa di autenticità diventa un’arma a doppio taglio: può essere celebrata come una virtù, ma più spesso viene punita perché rompe l’illusione.

Arcidiacono ha mostrato il lato umano di un’esperienza che molti giovani sognano: essere invitati a un grande evento, condividere lo spazio con figure idolatrate, sentirsi parte di un’élite esclusiva. Eppure, la realtà si è rivelata tutt’altro che magica. L’ambiente, a suo dire, era carico di competizione, giudizio e snobismo. Le sue parole, “cafone, snob, altezzose”, descrivono non solo alcune persone, ma forse anche un sistema che spinge a essere così per sopravvivere.

Ma perché queste parole hanno suscitato così tanto clamore? Forse perché toccano un nervo scoperto. Il mondo dei social media si regge su un equilibrio precario: da un lato, la promessa di autenticità; dall’altro, la necessità di aderire a standard impossibili per attirare follower, like, collaborazioni. Eleonora ha fatto ciò che molti evitano di fare: ha infranto il silenzio, portando alla luce un disagio diffuso ma raramente dichiarato.

Questo episodio dovrebbe invitarci a riflettere sulle conseguenze di questa cultura dell’apparenza. Non si tratta solo di questioni estetiche, ma di come queste influenzino la nostra autostima, le nostre relazioni e, in ultima analisi, la nostra salute mentale. Giovani donne (e uomini) crescono inseguendo un’idea di perfezione che non esiste, misurando il proprio valore in base a metriche digitali. Si perde il senso del sé, del valore che non dipende dal numero di follower o dalla partecipazione agli eventi “giusti”.

Il dibattito esploso intorno a Eleonora Arcidiacono è la punta dell’iceberg di un malessere generazionale. Ma offre anche un’opportunità: quella di ripensare il modo in cui consumiamo e produciamo contenuti sui social media. Possiamo davvero costruire una cultura digitale più inclusiva, più umana? Possiamo smettere di esaltare l’apparenza per dare spazio alla sostanza?

Forse, come suggerisce l’esperienza di Arcidiacono, il primo passo è proprio quello di avere il coraggio di essere vulnerabili, di mostrare non solo ciò che è bello, ma anche ciò che è vero. Perché, alla fine, la perfezione è solo un’illusione. E dietro quella facciata impeccabile, c’è sempre una storia che vale la pena raccontare.

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