Avete presente quando due ex si rivedono per la prima volta? Entrambi dissimulano affetto e nonchalance, “ti trovo bene” quando in realtà non si trovano bene per nulla, “si vede che non è felice come prima” o almeno così tutti sperano in cuor proprio, guardando di sottecchi la nuova lei/lui a cui s’accompagna e che ovviamente non può essere all’altezza, “chissà che ci troverà mai”, e alla fine della serata c’è sempre un vincitore e un vinto, chi si è preso la sua rivincita, chi rosica. Ecco, più o meno così è andata Bologna-Fiorentina: la prima volta di Vincenzo Italiano e quella che fu la sua Viola.
In estate è sembrato un addio piuttosto consensuale, tra chi aveva capito che il percorso insieme era finito, con dispiacere (qualcuno forse più dell’altro: il club avrebbe proseguito volentieri), ma continuando comunque a volersi bene. La partita di domenica ha rivelato che non è così. Affatto. L’esultanza a fine gara di Italiano, davvero troppo smodata per un successo importante per carità ma come tanti, per certi versi quasi provocatoria vista con gli occhi di chi fino a domenica ti era affezionato. Le dichiarazioni del direttore sportivo della Fiorentina, Daniele Pradè, che ha parlato di “mancanza di rispetto” e “delusione più grande della sconfitta”, perché ha “capito tanto dell’uomo”. Parole pesanti, quasi offensive, perché travalicano il campo ed entrano nella sfera personale. E di questo appunto si tratta.
Italiano e la Fiorentina hanno scoperto di avere troppa storia insieme, o comunque ancora troppo fresca, per ritrovarsi su un campo da calcio e far finta di essere estranei. Tre anni intensi, tante gioie, altrettanti dolori, che forse ti uniscono ancora più dei bei ricordi. Con Italiano, la Fiorentina si è rilanciata dopo stagioni tristi, in cui aveva rischiato addirittura la retrocessione e aveva perso la propria identità, è tornata a giocare una finale di Coppa Italia e addirittura due finali europee, anche se purtroppo non è riuscita a vincere un trofeo che probabilmente avrebbe meritato. Con la Fiorentina, Italiano semplicemente è diventato grande, passando dall’essere un giovane tecnico di belle speranze che aveva ben impressionato all’esordio in Serie A con lo Spezia, ad allenatore affermato, e richiesto. Senza scadere troppo nella retorica, si sono calcisticamente amati, e quindi non posso ancora essere amici.
Tutto abbastanza comprensibile. Ma a pensarci bene, anche tanto ingiustificato. Perché in fondo qui nessuno ha nulla da recriminare. Italiano è stato trattato benissimo a Firenze e soprattutto dalla Fiorentina, dal club ha avuto tanto e gli ha dato tutto. E questa separazione, ormai inevitabile, ha fatto bene a entrambi. Italiano e la Fiorentina erano arrivati a quel punto in cui probabilmente uno rischiava di diventare un freno per l’altro. Come lo stesso tecnico ha ammesso nel prepartita, lui di più a Firenze non poteva fare: la sua Fiorentina aveva raggiunto il massimo nel suo livello, senza però riuscire mai a fare il salto di qualità definitivo, cioè vincere un trofeo o battere una big, rimanendo sempre la prima delle seconde. Tanto che alla fine ci si cominciava a chiedere se il limite della Fiorentina di Italiano fosse la Fiorentina, o proprio Italiano.
Avevano bisogno di nuovi stimoli. E i risultati si vedono. Dopo la rivoluzione, la Viola, che era partita malissimo (ci stava un periodo di assestamento), ha spiccato il volo con Palladino, giocando come e forse meglio che in passato, sognando posizioni di vertice che non aveva raggiunto. Oggi nessuno a Firenze rimpiange Italiano. E lui a sua volta – pur avendo probabilmente sbagliato ad accettare la chiamata del Bologna, non certo la piazza ideale per consacrarsi, con la Champions da giocare e una rosa ridimensionata –, sta vincendo una sfida quasi impossibile: è settimo in classifica davanti al Milan, ha gli stessi punti del tanto celebrato Thiago Motta ma con Calafiori, Ferguson (infortunato fino a ieri) e Zirkzee in meno. Sta dimostrando insomma ai suoi detrattori di essere davvero un ottimo allenatore, anche fuori dalla confort zone di Firenze. Perché allora tutto questo rancore. La prossima volta solo un bacio un po’ malinconico sulla guancia. E poi ognuno per la sua strada.