Da bambino, negli anni Cinquanta, ma anche nei Sessanta, “stavo con la Russia”. A Genova era quasi normale. C’era la corsa allo spazio, con Yuri Gagarin, primo uomo nello spazio, e Valentina Tereskowa, prima donna nello spazio, preceduti da Laika, primo cane nello spazio. Nei cineforum organizzati al liceo i film russi erano d’obbligo, tanto che Paolo Villaggio prese in giro quei rituali con la storica battuta: la Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca. Mio padre, un comunista che era stato in campo di lavoro in Germania (Buchenwald), però, mi portava al cinema a vedere i film americani, soprattutto western. Con lui vidi L’uomo che uccise Liberty Valance, avevo 13 anni e il film era vietato ai minori di 14 anni. Raccontò una frottola alla biglietteria. Il divieto era dovuto a scene di violenza. John Wayne era l’eroe che era rimasto nell’ombra. Di poche parole. Liberty Valance l’aveva ucciso lui, con una fucilata, ma aveva lasciato l’onore a James Stewart che, su questo gesto, costruì la sua carriera politica, sposando la donna che Wayne amava e che gli lasciò. Mio padre, con i suoi amici, chiamavano “la tassa” Ombre Rosse, perché ogni volta che “lo davano” in un qualsiasi cinema, loro lo andavano a vedere.

Ombre rosse è il mio film preferito, ho anche comprato il copione in inglese, lo conosco battuta per battuta. Ringo Kid (John Wayne), fuorilegge suo malgrado, sale su una diligenza su cui viaggiano: un banchiere che sta fuggendo coi soldi della banca, una prostituta cacciata dal paese da un comitato di madamin, capitanato dalla moglie del banchiere, un medico ubriacone, una giovane donna incinta che va a trovare il marito militare, e un giocatore d’azzardo. A cassetta ci sono Andy Devine (Frank Zappa gli ha dedicato una canzone: Andy), e lo sceriffo che fa da scorta. Il titolo originale è Stagecoach: diligenza. Ma il titolo italiano è geniale: Ombre rosse. Sono quelle degli Apaches che assaltano la diligenza. Ringo Kidd sale sul tetto della diligenza e abbatte assalitori col suo Winchester, e quando tutto sembra perduto… arrivano i nostri. Ringo, una volta a Lordsburgh, uccide i suoi avversari e poi va via con Claire, la prositituta, benedetto dallo sceriffo e da Andy Devine. I personaggi positivi sono lui, il fuorilegge, e la prostituta, i negativi sono il banchiere e la sua gentile signora: i benpensanti.

Gli indiani dalle rosse ombre sono protagonisti di un romanzo appena ripubblicato, da cui John Ford trasse il più bel western di tutti i tempi (non solo secondo me). Il titolo originale (the searchers: i cercatori) non è altrettanto evocativo quanto la sua traduzione italiana: Sentieri Selvaggi. Sono i sentieri percorsi da Ethan (sempre Wayne, che chiamerà Ethan uno dei suoi figli) alla ricerca di Debbie, Natalie Wood, assieme a Martin, che si considera di famiglia ma è stato adottato e ha sangue indiano, e Wayne non perde occasione di farglielo fa notare. Debbie è stata rapita dagli indiani ancora bambina; i cercatori ci mettono cinque anni a trovarla. Sentieri Selvaggi è a colori e ogni inquadratura è un dipinto, come quelli di Frederic Remington e Charles Russell. Ethan è spietato Ma alla fine si redime e, invece di uccidere Debbie, oramai diventata un’indiana, come inizialmente voleva fare, la solleva da terra come una piuma e poi la riporta a casa.

Non si sa quale sarà il futuro di Ethan: esce dalla porta della famiglia a cui a riportato Debbie e cammina, come solo Wayne sapeva camminare, verso l’ignoto, e la porta si chiude dietro di lui. E poi i paesaggi, la Monument Valley. I due John del cinema western, Ford e Wayne, non hanno rivali e i loro film sono capolavori assoluti, non di genere. In Ombre Rosse la cinepresa, da un’altura, inquadra, seguendola, la diligenza che attraversa la Monument Valley: cinepresa fissa, soggetto che si muove. Ma poi Ford consacra la tecnica della “cinepresa a seguire” nella storia del cinema. La cinepresa è su un mezzo in movimento e si muove assieme alla diligenza.

I personaggi sono tutt’altro che stereotipati. Wayne, ad esempio, spesso ha torto. Come nel Fiume Rosso: gli sparano in una gamba e il fedele Walter Brennan (il più famoso vecchietto del West) gli versa wisky sulla ferita e, quando vede che gli fa male, gliene versa altro, sogghignando. Ha torto marcio, ma non lo può abbandonare. I rapporti tra Wayne e Brennan sono di due vecchi amici, come quando, in Un dollaro d’onore, Wayne gli dà un bacio in testa, dopo averlo redarguito per i suoi mugugni. Rio Bravo, si chiama, nella versione originale, ma Un dollaro d’onore è ancora una volta meglio dell’originale: è il dollaro gettato nella sputacchiera, per comprare da bere a Dean Martin, alcolizzato per un amore perduto.

Insomma, quando si tratta di cinema “sto con l’America”, da sempre. Questi film passano spesso in televisione, ma sarebbe altra cosa rivederli al cinema, magari dopo aver letto l’appena pubblicato romanzo da cui è tratto Sentieri Selvaggi. In edicola questo mese si trova un mensile a fumetti western con un eroe molto simile a John Wayne, con una storia palesemente ispirata al Massacro di Fort Apache, una lotta contro l’ottusità militare rappresentata da un alto ufficiale che, nel fumetto, assomiglia a Henry Fonda: l’ottuso ufficiale del film. I due John del cinema western si rifiutano di morire, e continuano a cavalcare assieme, presumibilmente nella Monument Valley.

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