Dopo aver aumentato le famiglie in povertà e il fallimento dei sussidi per gli "occupabili", il governo rimette mano alle nuove misure. Intanto il ministero del Lavoro continua a nascondere i dati ufficiali
Il governo ha fatto cassa sui poveri riducendo la platea rispetto a quella dei beneficiari del Reddito di cittadinanza, con risultati addirittura peggiori rispetto alle aspettative della maggioranza e oltre due miliardi di euro risparmiati nel 2024. Così, mentre i poveri aumentano, la nuova legge di bilancio non prevede ulteriori risorse. Anzi, il risparmio viene […]
Il governo ha fatto cassa sui poveri riducendo la platea rispetto a quella dei beneficiari del Reddito di cittadinanza, con risultati addirittura peggiori rispetto alle aspettative della maggioranza e oltre due miliardi di euro risparmiati nel 2024. Così, mentre i poveri aumentano, la nuova legge di bilancio non prevede ulteriori risorse. Anzi, il risparmio viene messo a regime nonostante si decida di ammorbidire i requisiti di accesso all’Assegno di inclusione (Adi) e al Supporto formazione (Sfl) e lavoro, per il quale aumenta anche il beneficio, da 350 euro a 500, e la durata massimo dell’erogazione, da 12 mesi a due anni. Sono le modifiche alle misure di contrasto alla povertà che la maggioranza ha inserito in un emendamento presentato alla Camera.
Ma andiamo con ordine. Dal primo gennaio 2024 il Reddito di cittadinanza è stato sostituito dall’Assegno di inclusione e, per i 18-59enni senza minori, over 60 o fragili nel proprio nucleo, dall’indennità da 350 euro, il Supporto formazione e lavoro erogato per un massimo di 12 mensilità a chi segue una politica attiva come i corsi di formazione. L’esecutivo aveva previsto 737 mila famiglie destinatarie di Adi, ma oggi sono meno di 600 mila (nel 2023 si era arrivati oltre il milione). Secondo il rapporto che la Caritas ha pubblicato ai primi di novembre, la riforma ha lasciato senza supporto 331mila nuclei, molti dei quali residenti al Nord, in affitto o monocomponenti, categorie escluse dai nuovi criteri”, più stringenti rispetto a quelli del Rdc.
Quanto al Supporto formazione e lavoro, a fronte di una stima iniziale di oltre 300 mila occupabili destinatari di Sfl, oggi se ne contano meno di 90 mila. Un fallimento vero e proprio che il governo continua a nascondere negando i dati sulle politiche attive e attribuendo il risultato alla ripresa dell’occupazione, ma senza fornirne le prove. Bisognerebbe incrociare i dati degli occupati con quelli degli “occupabili”, cosa che l’Inps non fa e di cui un tempo si occupava l’Anpal, l’agenzia soppressa dall’esecutivo. L’esiguo contributo da 350 euro è stato erogato per una media di sole 3 mensilità. Con le platee ridimensionate, dei 7 miliardi messi inizialmente a bilancio, quest’anno ne sono stati spesi meno di 5. E a giudicare dai fondi individuati con l’emendamento alla manovra non sembra che nei prossimi anni si voglia cambiare rotta.
Per l’Adi viene alzata la soglia Isee, da 9.360 euro a 10.140, e così i requisiti patrimoniali che finalmente tornano a considerare le spese per l’affitto: per i nuclei senza minori o disabili si passa da 6.000 a 6.500 euro e con l’affitto si può arrivare a 10.140 euro. Impossibile sapere quali siano i calcoli della maggioranza sull’allargamento della platea. Ma nonostante criteri più inclusivi le risorse restano praticamente le stesse: dai 5,6 miliardi per quest’anno ai 5,8 del prossimo, ridotti ulteriormente l’anno seguente. Anche senza i dati, che il ministero del Lavoro continua a non pubblicare negando agli esperti la possibilità di esprimere pareri in merito, al netto della questione affitti, i correttivi per l’Adi sono marginali e l’investimento rimane basso.
Quanto al Sfl, l’Isee per accedervi sale da 6000 a 10.140 euro, come quello per l’Adi per chi paga l’affitto. I fondi scendono da 1,4 miliardi di quest’anno a 700 milioni di euro nel 2025, che si assestano intorno ai 600 milioni per gli anni successivi. Poco? Troppo? Chi può dirlo? Sul combinato disposto di indennità e politiche attive è notte fonda e il ministero di Marina Calderone si tiene stretto i dati, sempre che qualcuno ancora li lavori. Risorse in calo, dunque, per un’emergenza che invece non accenna a ridursi: 5,7 milioni gli italiani in povertà assoluta, uno su dieci. Con il Nord che vede il maggiore aumento di persone in povertà (+97% in dieci anni), con cause che sono segno dei tempi: il dilagare di lavoro povero e intermittente, i contratti atipici, salari bassi. I giovani e le famiglie con figli sono le fasce più vulnerabili e il disagio abitativo che rappresenta ormai un problema strutturale.