Con il crollo del regime siriano, Israele ha avviato un piano per ridisegnare la geografia della sicurezza e penetrare più a fondo nel territorio siriano, mirando a stabilire un nuovo equilibrio che metta la Siria sotto il controllo e la sorveglianza israeliana. Questa strategia ha incluso attacchi alle infrastrutture militari e alla capacità dell’esercito siriano, con l’obiettivo di creare una Siria smilitarizzata e rendere il suo territorio inutilizzabile in qualsiasi scenario futuro che possa rappresentare una minaccia per Israele.

Mentre il mondo era occupato a seguire i movimenti di Abu Muhammad al-Jolani (alias Ahmad al-Shar’a), leader di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), questi ha attirato l’attenzione con un cambiamento significativo nel suo approccio e discorso politico. Sembra che stia cercando di posizionarsi come una figura politica accettabile per la prossima fase. Tuttavia, nonostante le sue reiterate dichiarazioni sull’importanza di rispettare la diversità della società siriana, preservare l’unità del Paese e garantire una transizione democratica, permangono seri dubbi sulla capacità di HTS di tradurre queste dichiarazioni in azioni concrete.

Oggi, al-Jolani è diventato il protagonista del panorama siriano come rappresentante di un’ideologia rigida che incontra difficoltà nell’accettare il pluralismo, nella gestione delle differenze e nell’adozione del principio dell’alternanza di potere. Le sue prime mosse, come la formazione di un governo monocromatico e i tentativi di consolidare il potere, segnalano una mancanza di visione per affrontare la complessità della società siriana e il suo retaggio politico. L’apparente facilità con cui è caduto il regime nasconde una sfida enorme nel gestire questo retaggio, sia sul piano della sicurezza che su quello burocratico. Questo approccio rischia di provocare reazioni da parte di diverse componenti interne, come drusi e curdi, che percepiscono questa concentrazione di potere come una minaccia ai propri interessi.

Pur semplificando il quadro siriano attraverso l’ascesa di HTS e il focus sulla repressione del regime precedente, non si possono ignorare le complessità del contesto attuale. Sebbene il sostegno internazionale, guidato dagli Stati Uniti, e quello regionale, esplicitamente fornito dalla Turchia, puntino a facilitare la transizione, il vero test sarà la capacità di HTS di estendere il proprio controllo sull’intero territorio siriano, un compito ancora irrisolto. Inoltre, la capacità di unificare le varie componenti della società siriana all’interno di un progetto nazionale appare quasi impossibile per un’organizzazione ideologica con scarsa propensione all’accettazione della diversità politica.

Negli ultimi anni, l’amministrazione Biden ha compiuto un passo sorprendente in Afghanistan, ritirandosi dal Paese e lasciando il potere ai Talebani. Successivamente, alcune forze hanno cercato di presentare i Talebani come un movimento moderato e adattabile alle esigenze politiche. Un fenomeno simile sembra emergere oggi con HTS. La promessa di rimuovere HTS dalla lista delle organizzazioni terroristiche, differenziandola dai gruppi estremisti, e la promozione di al-Jolani come un leader politicamente sofisticato, alimentano un’immagine secondo cui l’ideologia del gruppo non rappresenterebbe più un ostacolo alle trasformazioni necessarie per assumere il potere.

Tuttavia, è cruciale riflettere sulle possibili conseguenze di questa tendenza. La legittimazione di HTS potrebbe incoraggiare altri gruppi estremisti a intensificare il conflitto e la ribellione, non solo per competere tra loro, ma anche per ottenere riconoscimento internazionale come attori politici e amministrativi legittimi. Questo fenomeno potrebbe espandersi oltre i confini siriani, influenzando un’ampia geografia regionale.

In parallelo, l’ascesa di HTS potrebbe ispirare una rinnovata ambizione nei partiti islamisti che si erano ritirati dalla scena politica dopo le delusioni della Primavera Araba. Il simbolismo delle azioni di HTS, come il discorso di al-Jolani nella moschea degli Omayyadi, in cui ha definito la caduta del regime una vittoria per l’intera umma islamica, o il discorso del Primo Ministro Mohammed al-Bashir dallo stesso pulpito, sottolinea l’orientamento ideologico di un movimento presentato come frutto di una rivoluzione politica piuttosto che religiosa.

La transizione politica in Siria rimane una sfida complessa, influenzata da fattori storici, sociali, economici e istituzionali. Il rischio di conflitti interni resta elevato, poiché molte fazioni siriane non hanno ancora espresso una posizione chiara sugli sviluppi attuali, e il trasferimento del controllo territoriale potrebbe rivelarsi tutt’altro che agevole. Inoltre, l’ambiguo atteggiamento dello Stato Islamico (ISIS) e le sue mosse dopo la caduta del regime aggiungono ulteriore incertezza al quadro.

Infine, la regione si prepara a potenziali ripercussioni politiche e di sicurezza derivanti da ciò che sta accadendo in Siria. In particolare, la prossima fase potrebbe vedere Israele intraprendere passi concreti sul terreno, prima del ritorno dell’amministrazione Trump alla Casa Bianca, con misure che includono l’annessione di territori in Cisgiordania, il consolidamento delle frontiere con Libano e Siria e attacchi contro obiettivi più lontani che Israele considera i fronti dell’influenza iraniana che si estendono dall’Iraq allo Yemen e perfino all’interno dell’Iran.

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