Di tutte le forme di elettrificazione disponibili, finora l’ibrido plug-in è stata quella che ha unito i costi più alti (i prezzi sono paragonabili con quelli dell’elettrico) con l’efficienza più bassa. Di conseguenza, se le vendite delle auto elettriche non sono mai decollate, quelle delle ibride plug-in sono andate ancora peggio, con quote di mercato risibili sia in Europa che in Italia. Prezzi alti, batterie piccole e lente da ricaricare, autonomie in modalità elettrica ridotte e consumi alti con gli accumulatori scarichi, sono state le motivazioni alla base dell’insuccesso delle vetture Phev.
Per chi non avesse dimestichezza con questa tecnologia, si tratta di uno schema che unisce un motore termico a uno elettrico, con il secondo che può contare su un pacco batterie di dimensioni medio piccole, che permette di percorrere una cinquantina di chilometri senza consumare benzina. Questo tipo di ibrido è nato pensando a un utilizzo molto disciplinato da parte degli automobilisti, che per trarne il meglio dovrebbero ricaricare la propria vettura tutti giorni, a casa o sul luogo di lavoro.
Ma soprattutto, è nato perché in sede di omologazione permette di ottenere valori di CO2 bassissimi, perché i veicoli vengono omologati con la batteria carica, che dura per quasi tutta l’esecuzione del test. Ma poi la pratica è diversa dalla teoria: nella quotidianità la batteria si scarica in fretta e diventa solo un peso da portare in giro, peggiorando i consumi e togliendo spazio a bordo, perché anche il serbatoio della benzina va posizionato da qualche parte.
Tenendo bene a mente queste premesse, Volkswagen ha lavorato su tutti i singoli componenti del suo ibrido plug-in e ne ha presentata la seconda generazione, che migliora sensibilmente in tutti gli aspetti. Attualmente è disponibile sulla Golf, sulla Tiguan e sulla Passat: le prime due hanno la stessa potenza mentre l’ammiraglia è più prestante. Il propulsore termico ora funziona con il Ciclo Miller (ha un rendimento più alto) e ha la turbina a geometrica variabile, mentre l’unità elettrica si trova dentro il cambio doppia frizione a 6 rapporti e la batteria è cresciuta da 10,6 a 19,7 kWh di capacità netta, mantenendo stesso peso e dimensioni.
Su Golf e Tiguan la potenza complessiva è di 204 CV, mentre sulla Passat si sale a 272 CV grazie a una diversa calibrazione sia del termico che dell’elettrico. Le autonomie in modalità solo elettrica, invece, sono rispettivamente di 144, 126 e 135 km, e si possono raggiungere i 140 km/h. Gli ultimi numeri interessanti sono quelli che riguardano la velocità di ricarica, perché il nuovo pacco batterie accetta fino a 11 kW in corrente alternata e 50 kW in continua, rendendo l’operazione molto più veloce che in passato. Ma quello che le cifre non raccontano è quanto questo nuovo sistema ibrido sia efficiente a batteria scarica: siamo lontani anni luce dal vecchio 1.4 e-TSI che, montato sulla Golf, in queste condizioni percorreva circa 14 km con un litro. Su questa nuova eHybrid si percorrono oltre 20 km con un litro, che in città diventano quasi 25: sono valori paragonabili a quelli dei migliori sistemi full hybrid.
Naturalmente la Tiguan e la Passat consumano un poco di più, ma è un aumento fisiologico dovuto alle maggiori dimensioni. Le logiche di funzionamento del powertrain stabilite da Volkswagen privilegiano sempre il funzionamento in full electric, ma il guidatore può scegliere l’ibrido oppure preservare la carica della batteria. Insomma la seconda generazione del plug-in made in Wolfsburg ha davvero tanti pregi. L’unico difetto è quello che riguarda il prezzo, perché questa rimane una tecnologia cara. Se la gamma Golf parte da poco più di 30.000 euro, per la eHybrid bisogna metterne in conto almeno 42.250 euro, ovviamente in assenza di incentivi. Questo delta di prezzo si riduce leggermente sulla Passat, dove è di circa 10.000 euro e sulla Tiguan, in cui scende a 9.000 euro. Ricaricando sempre l’auto in casa (con le tariffe domestiche) sicuramente si risparmia nell’uso quotidiano, ma ognuno deve farsi i propri conti.