Il nuovo disegno di legge sulla sicurezza – se approvato anche alla Camera dopo il passaggio al Senato – è già un bel guazzabuglio. Anche su temi delicati e complessi come quelli che coinvolgono i nostri servizi segreti ai quali sembrano riservati ora più ampi poteri. Si legge infatti sul Dossier del Servizio Studi del Senato, che spiega il disegno di legge, qualcosa che fa accapponare la pelle e che soprattutto richiama i momenti più cupi attraversati da questo Paese tra gli anni 60 e 90 del 900 (dagli albori dei tentati golpe anni 60, alla strategia della tensione passando per il sequestro e l’omicidio Moro fino ad arrivare alle stragi di cosiddetta sola mafia del 92 e 93). Vicende che oggi sono ancora oggetto di approfondimenti giudiziari e di inchieste, oltre che storici e giornalistici.

Al centro della legge in questo senso si staglia l’articolo 31 (potenziamento dell’attività di informazione per la sicurezza) che sembra puntare a influire in parte sulla legge 124 del 2007, conosciuta più generalmente come Riforma dei servizi di sicurezza. Rispetto alla tutela del personale dei servizi, la modifica che il nuovo ddl porterebbe con sé suona sostanziale perché si stabilisce la possibilità “di estendere anche a una serie di delitti con finalità di terrorismo le condotte scriminabili, previste dalla legge come reato, che tuttavia il personale dei servizi di informazione per la sicurezza può essere autorizzato a porre in essere”. Resta per fortuna la non opponibilità del segreto di Stato. Una serie di contraddizioni, che il cittadino comune magari faticherebbe a interpretare, lascia un po’ perplessi poi. Se infatti resta la logica dell’art. 17 della legge 124, secondo il quale non si possono commettere “condotte dirette a mettere in pericolo o a ledere la vita, l’integrità fisica” altrui, a esempio, non si capisce come sia possibile l’estensione della serie di delitti citati sopra. E se si aggiunge poi che viene autorizzata la partecipazione all’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale e dell’associazione mafiosa per cui “non sarà punibile il personale dei servizi di informazione per la sicurezza che ponga in essere condotte previste dalla legge come reato”, il contorsionismo delle intensioni si fa più adamantino.

Come si fa ad affermare che non si possono commettere reati contro le persone se poi in ambito terroristico e mafioso si viene giustificati? E di contro, come si fa a ottenere la fiducia di terroristi e mafiosi senza commettere gli stessi reati gravi commessi da loro?

A questo proposito è interessante leggere due dei libri dati alle stampe di recente rispettivamente per Zolfo Editore (La strategia parallela di Michele Riccio e Anna Vinci) e Poteri Occulti per i tipi di Fazi editore, scritto dall’ex magistrato Luigi De Magistris che in particolare nel capitolo “L’eterno piduismo all’assalto della Costituzione” scrive: “Il piduismo contemporaneo ha realizzato teorie e azioni del “gran maestro venerabile” Gelli (Licio nda)”. Siamo all’apoteosi delle idee piduiste, alla loro piena attuazione: a un regime politico che annichilisce il carattere parlamentare della Repubblica, riduce le garanzie dello Stato di diritto e del controllo sugli abusi del potere e concentra il potere stesso in poche persone, opponendosi dunque a una concezione della democrazia come potere diffuso”.

Mentre l’ex colonnello dei carabinieri Michele Riccio ci consegna i tratti più salienti della sua esperienza e testimonianza di una strategia parallela tessuta da “quegli uomini delle istituzioni posti ai più alti livelli” di cui “siamo ancora prigionieri”. La strategia – scrive ancora Riccio insieme alla scrittrice Anna Vinci, nel flusso di una sorta di Romanzo Civile: “Fu quella di applicare una doppia linea, una dura manipolatrice e nascosta”, l’altra “legale e moderata” che “metteva la faccia”. Doppia linea ricorda qualcosa, a esempio quella adottata dai neofascisti di Ordine Nuovo nella strage di Piazza Fontana di cui in questi giorni ricorrono i 55 anni: mandare avanti la sinistra per commettere a destra reati volti alla destabilizzazione del Paese.

Sulla scia di nuove leggi riguardanti la sicurezza nazionale e l’ampliamento dei poteri dei nostri servizi segreti – che in fondo riportano nel dibattito pubblico il ruolo dell’intelligence – mi ha colpito poi un articolo pubblicato sull’ultimo numero edito dalla rivista mensile Formiche scritto dal presidente del Copasir (l’organismo che controlla il Dis, l’Aisi e l’Aise), Lorenzo Guerini, nel quale il deputato del Pd fa leva sulla mancanza italiana di una strategia di sicurezza nazionale rispetto agli altri paesi appartenenti al G7. Guerini, ex ninistro della difesa, da par suo, nelle scorse settimane, ha depositato un disegno di legge che interviene proprio sulla legge 124 del 2007. Proposta volta a istituire, secondo il titolare del Copasir, “una figura dell’Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica, una figura non meramente eventuale, che sia incaricata, in via permanente ed esclusiva (salvo il caso in cui siano ad essa conferite le funzioni di segretario del Consiglio dei ministri), al coordinamento delle politiche per la sicurezza nazionale e dotata delle funzioni di raccordo trasversale necessarie per l’elaborazione della strategia di sicurezza nazionale”.

Sarebbe interessante capire come questa proposta eventualmente andrebbe a legarsi con il nuovo disegno di legge in attesa di approvazione alla Camera (e che molto probabilmente slitterà al 2025 viste le contestazioni che ha raccolto finora) tenendo in mente le contraddizioni e i timori qui espressi.

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