Paolo Di Paolo, scrive per il Mulino, Rimembri ancora, un saggio sul perché amare da grandi le poesie studiate a scuola. Un libro che mi ha impegnato in una piccola indagine sulle poesie studiate a memoria dalla mia generazione in giù. Delle persone che ho consultato non ce n’era una che non ricordasse con piacere delle strofe, solo qualcuno ne lamentava la lunghezza. Tutti concordi invece sul fatto che imparare a memoria “serve”, a che cosa è più difficile da definire.
Ne parlo anche con Gisella Colombo, un’insegnante del Liceo Leonardo da Vinci di Milano, che da poco ha deposto il registro, e che oggi si dedica ad approfondire accademicamente il dialetto milanese, mi dice che pochi ragazzi rifiutavano questo tipo di studio, e che al di là di quanto sia piacevole ritrovarsi a recitare qualche verso, con ogni probabilità i nostri neuroni ne ricavano un giovamento: “la poesia rimane”. Mi sembra la miglior spiegazione del perché imparare a memoria una poesia.
Così come accade nel libro di Di Paolo, mi snocciola la Morte di Ermengarda, San Martino, qualche verso di Catullo in latino e ovviamente Dante, tentenna un po’ sull’Iliade, ma poi parte con “Cantami o diva …”. Ammette che c’è un po’ di timore da parte degli insegnanti nello spingere sul tasto dell’imparare a memoria, forse per un voler troppo andare incontro agli interessi degli studenti, resistenze che una volta superate, rappresenteranno un investimento “a futura memoria”.
Da parte mia sono grato al professor Abbate delle medie che ha sempre insistito sulla poesia, anche in latino, e alla Della Pergola delle superiori, che ci faceva imparare lunghe strofe della Divina Commedia. Non si trattava certo di emulare i cimenti fiorentini di chi la Commedia la sa per intero, ma di fare qualche cosa “che rimane” e di provare a proporre che lo studio a memoria venga reintrodotto nelle nostre scuole, ovviamente non come cantilena e con un commento adeguato. Questo abbandono probabilmente è frutto di quella rivoluzione culturale iniziata attorno al ’68 di cui ho fatto parte e che nella scuola qualche danno lo ha fatto, anche se oggi ci troviamo di fronte a giovani genitori che pretendono di imporre i programmi ai docenti, pronti a passare alle minacce se non di peggio e a improbabili ministri dell’Istruzione e del Merito.
Fortunatamente però c’è qualcuno che ci prova come i ragazzi del Liceo Foscarini di Venezia, che hanno fatto nascere in questi giorni (il 17 dicembre) la Casa della Poesia Giovani. Giovani-Poesia, ai meno attenti potrebbe sembrare un ossimoro invece è una realtà che proviene dalla capitale del tanto vituperato Nord Est.