È sempre molto difficile far capire ai tuoi figli quale fosse il tuo modo di essere ragazzo. Di sicuro per ragioni anagrafiche o, se preferite, sociologiche (in effetti è complicato pensare a tuo padre in pantaloncini corti, in sella ad una bicicletta che corre per le strade che tu hai percorso con lui adulto e te bambino), ma lo è anche perché il mondo da quando eri piccolo a quando hai avuto figli è cambiato tanto.
Come faceva loro nonno con me, spesso ho raccontato a Marco e Giovanni singoli episodi della mia infanzia o della mia adolescenza, ma ammetto che quasi mai loro ne hanno colto a pieno lo spirito. E forse è giusto così. Di contro, quando in un film, in una canzone o in un racconto io ritrovo quello spirito non posso che intenerirmi e sorridere.
Ed è proprio con il sorriso sulle labbra che ho letteralmente divorato le pagine di Storie bastarde, il bellissimo libro scritto da Davide Desario e pubblicato da Avagliano Editore con la prefazione di Francesca Fagnani. Desario è quasi un mio coetaneo e mentre lui parlava della sua Ostia, del suo amico Tonno, di Gianlucone o di tutti gli altri, io riuscivo con estrema facilità a trasportare quei racconti alla mia Cagliari e rivedere in Tonno il mio inseparabile Giando, in Gianlucone il nostro “capobanda” Giuseppe e tutto il resto.
Estati infinite passate a dare un calcio al pallone, a perdere tempo in spiaggia, ad annoiarsi (che meraviglia!) e a crescere con tutti i tuoi amici. Con la vita che, senza rendertene conto, ti faceva diventare grande e che di lì a breve avrebbe preso percorsi diversi per ciascuno di noi. Non sempre belli, non sempre prevedibili guardando quei ragazzi, ma in fondo la vita è così: imprevedibile, fatta di porte scorrevoli che possono aprirsi verso la felicità o la tragedia senza che tu possa fare troppo per cambiare il destino se non attaccarti ai valori che ti sono stati insegnati e che, come sperano tutti i genitori dell’universo, ti insegnino a distinguere il bene dal male.
Nel libro di Desario ho trovato tanti episodi che ricordo benissimo di aver vissuto e che mi hanno lasciato un segno tanto profondo nell’animo che il solo pensarci mi riporta alla memoria sensazioni, immagini, odori. Anche io ricordo benissimo dove ero quando la televisione diede la notizia della morte di Alfredino Rampi, ho chiara davanti a me l’immagine di mio padre che torna a casa con il primo televisore a colori e la disperazione negli occhi di mia sorella quando, per una sua leggerezza, le rubarono il motorino ottenuto con tanto sacrificio.
Programma per le feste: rileggere Storie bastarde con Marco e Giovanni. E chissà se riusciranno a capire un po’ di più del loro padre che, bambino, sfrecciava per viali e stradine in sella ad una fiammante bicicletta Atala con le ruote gialle.