"Madre Natura" e l'esponente della cosca Piromalli erano stati condannati, nel 2023, dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria per l'omicidio di due carabinieri il 18 gennaio 1994 sull’autostrada. Secondo la Direzione distrettuale antimafia, lo scopo delle stragi era quello di colpire le istituzioni per costringerle a trattare
Tutto da rifare per il processo “’Ndrangheta stragista”. La Sesta sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Pierluigi Di Stefano, ha annullato gli ergastoli inflitti in primo e in secondo grado al boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, detto “Madre natura”, e a Rocco Santo Filippone, esponente della cosca Piromalli di Gioia Tauro. Entrambi erano stati […]
Tutto da rifare per il processo “’Ndrangheta stragista”. La Sesta sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Pierluigi Di Stefano, ha annullato gli ergastoli inflitti in primo e in secondo grado al boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, detto “Madre natura”, e a Rocco Santo Filippone, esponente della cosca Piromalli di Gioia Tauro.
Entrambi erano stati condannati, nel marzo 2023, dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria per il duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi il 18 gennaio 1994 sull’autostrada, all’altezza dello svincolo di Scilla. Secondo la Dda di Reggio Calabria, diretta dal procuratore Giuseppe Lombardo, si trattava di un agguato rientrante a pieno titolo nelle cosiddette “stragi continentali”.
Annullamento con rinvio, e quindi nuovo processo davanti a un’altra sezione della Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, anche per gli altri due attentati consumati, alla fine del 1993 in riva allo Stretto, ai danni di pattuglie di carabinieri. Azioni criminali che, secondo l’impianto accusatorio, dovevano dimostrare il “pieno ed indefettibile coinvolgimento della ‘Ndrangheta in delitti di carattere così eclatante”, in quella “strategia stragista” che ha insanguinato l’Italia all’inizio degli anni Novanta.
Così non è stato secondo gli ermellini che, prima di ritirarsi in Camera di consiglio, avevano ascoltato il sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione Antonio Balsamo chiedere il rigetto dei ricorsi così come hanno auspicato pure le parti civili rappresentate, tra gli altri, dagli avvocati Antonio Ingroia, Giuseppe Basile e Massimo Leanza.
La Cassazione, però, ha dato ragione agli avvocati Guido Contestabile e Salvatore Staiano, difensori di Rocco Santo Filippone, e agli avvocati Giuseppe Aloisio e Federico Vianelli, che hanno assistito Graviano.
In particolare, i difensori del boss di Brancaccio hanno sostenuto che la motivazione della sentenza di secondo grado è “contraddittoria e illogica”.
“È mancato – ha commentato l’avvocato Aloisio – il riscontro individualizzante rispetto alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza da parte dei collaboratori Consolato Villani e Antonino Lo Giudice. Sempre che lo stesso Spatuzza possa essere considerato attendibile”. “Non vi è compiacimento per questa sentenza – hanno aggiunto gli avvocati Contestabile e Staiano – poiché questo esito era stato ampiamente previsto da noi difensori sin dal primo minuto”.
L’unica cosa che ha retto della sentenza di secondo grado è l’associazione mafiosa contestata a Rocco Santo Filippone. Solo per questo reato, infatti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della difesa, facendo diventare definitivi i 18 anni di carcere inflitti all’anziano esponente della cosca Piromalli.
Per capire cosa non ha convinto la Cassazione occorrerà leggere, nelle prossime settimane, le motivazioni della sentenza e confrontarle con le 1400 pagine scritte dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria secondo cui gli elementi portati in questi anni in aula dalla Dda reggina delineavano “un quadro ricostruttivo granitico e convergente in ordine all’implicazione dei più alti livelli ‘ndranghetistici nei delitti in esame e alla loro interazione con la mafia siciliana, la massoneria e i servizi segreti, nonché sul tema di Falange Armata”.
Stando alla ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia, lo scopo di ‘Ndrangheta e Cosa nostra era quello di colpire al cuore il Paese e le istituzioni per costringerli a trattare. Per farlo sarebbe stato necessario esercitare “una pressione sempre più asfissiante e ad ampio raggio nei confronti dello Stato, in vista del raggiungimento degli obiettivi inerenti l’eliminazione del regime previsto dal 41 bis dell’ordinamento penitenziario e la modifica della legislazione sui pentiti”.
Non solo gli attentati ai carabinieri in Calabria, ma anche la tentata strage dell’Olimpico è stata al centro del dibattimento del processo “’Ndrangheta stragista”: “Non pare certamente frutto di una casualità – avevano scritto i giudici di secondo grado – la coincidenza nella scelta degli obiettivi da colpire, individuati sia in Calabria che a Roma negli appartenenti all’Arma dei carabinieri, uomini evidentemente simbolo della difesa dello Stato, che dovevano essere attaccati in momenti pressoché contestuali in punti geografici distanti tra loro, ma con un’unica finalità, ossia ‘piegare’ lo Stato alle richieste di attenuazione o eliminazione del carcere duro per mafiosi e ‘ndranghetisti ed alla revisione della legislazione sui collaboratori di giustizia”.
Nella sentenza di secondo grado, annullata dalla Cassazione, inoltre, veniva sottolineata “la stretta ‘vicinanza’ fra la ‘ndrangheta e i servizi segreti”. Sarebbero stati loro a suggerire la sigla “Falange armata” con cui rivendicare gli attentati ai carabinieri. Per la Corte d’Assise d’Appello, in sostanza, servizi segreti deviati, ‘Ndrangheta e Cosa Nostra sarebbero state protagoniste di un “piano di destabilizzazione dello Stato, per il raggiungimento, ognuno, dei propri obiettivi di natura comunque eversiva”.
Un intreccio che, per gli inquirenti, avrebbe coinvolto pure “ambienti massonici e politici in una evidente convergenza e commistione di interessi che mirava” pure a “sostituire la vecchia classe dirigente” della Democrazia cristiana. Agli occhi di Riina e di Graviano, la Dc “non aveva soddisfatto i loro ‘desiderata’” e sarebbe stata sostituita con il partito di Silvio Berlusconi: “Con tutta evidenza – avevano scritto i giudici di Reggio Calabria – Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta si interessarono al nuovo partito di Forza Italia”. Con alcuni esponenti azzurri, infatti, “i siciliani avevano avviato contatti, tant’è che le stragi cessarono nel corso dell’anno 1994, sussistendo l’aspettativa che il nuovo soggetto politico avrebbe ‘aiutato’ le organizzazioni criminali che l’avevano elettoralmente sostenuto”.
I nomi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sono stati più volte pronunciati in aula nei primi due processi. Lo ha fatto lo stesso Graviano nel 2020 sostenendo di essere stato in affari con Berlusconi (che avrebbe incontrato tre volte da latitante), grazie agli investimenti compiuti dal nonno a Milano negli anni ‘70.
Presunti dissidi di carattere economico che non sono mai comparsi nelle intercettazioni registrate in carcere tra Giuseppe Graviano e Umberto Adinolfi dove, piuttosto, secondo i giudici, era emerso “un risentimento dell’imputato nei confronti del politico e del ‘compaesano’ Dell’Utri, che avevano tradito gli accordi, non ricambiando, con interventi legislativi, l’aiuto che i siciliani avevano fornito alla nascita del nuovo partito di Forza Italia”.
Tema, questo, legato a doppia mandata con l’incontro al Bar Doney di Roma tra Graviano e il pentito Gaspare Spatuzza. Proprio al collaboratore di giustizia, secondo la ricostruzione dei pm messa in discussione dalla Cassazione, Graviano avrebbe sollecitato l’attentato ai carabinieri che doveva consumarsi nei parcheggi dello stadio Olimpico, poiché “i calabresi si sono già mossi” uccidendo, appunto, sull’autostrada i militari Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. Aggiornato da Spatuzza sul progetto dell’attentato all’Olimpico e “appresa la notizia della predisposizione dei preparativi, – era sempre la sentenza d’appello annullata – (Graviano, ndr) si mostra soddisfatto, dicendo che ‘avevamo portato a buon fine tutto quello che noi speravamo’, facendo riferimento a ‘quello del Canale 5’ e al ‘compaesano’ ed aggiungendo di avere ‘il Paese nelle mani’ e che bisognava dare il ‘colpo di grazia’”.
Il telecomando, fortunatamente, si è inceppato e il “colpo di grazia” all’Olimpico non c’è mai stato, ha raccontato Spatuzza in aula. Pochi giorni dopo quell’incontro al Bar Doney, però, Berlusconi annunciò al Paese la sua discesa in campo. Ventiquattr’ore dopo Graviano venne arrestato assieme al fratello Filippo in un ristorante al centro di Milano. Da allora “Madre natura è stato condannato sei volte all’ergastolo: per le stragi di Capaci, di via d’Amelio, di Firenze, di Roma e di Milano e per essere stato il mandante dell’omicidio di don Pino Puglisi.
L’omicidio dei due carabinieri in Calabria sarebbe stato il settimo. Ma la Cassazione ha deciso che il processo “’Ndrangheta stragista” è da rifare.