Che fosse stato un passo falso, almeno dal punto di vista della comunicazione politica, lo si era capito subito. Ma a dare la mazzata finale a un provvedimento che aveva fatto discutere (e criticare il governo) fin dall’inizio sono state in tarda serata le parole di Guido Crosetto: “Abbiamo chiesto ai relatori di ritirarlo ed evitare inutili polemiche. Ciò che non sarebbe comprensibile per altre professioni, che due persone che fanno lo stesso lavoro abbiano trattamenti diversi, per chi fa politica deve essere messo in conto”, ha dichiarato il titolare della Difesa.

E così, al termine di una notte piuttosto movimentata per la Manovra di Bilancio, il provvedimento non c’è più, almeno com’era stato pensato: gli stipendi dei ministri e dei sottosegretari non parlamentari non saranno equiparati a quelli dei colleghi eletti alla Camera o al Senato. Significa settemila euro in meno a fine mese, a fronte di uno stipendio che però già supera i diecimila.

Lo prevede un emendamento riformulato dei relatori alla manovra, che riscrive la norma, prevedendo per i ministri e sottosegretari non parlamentari e non residenti a Roma solo il “diritto al rimborso delle spese di trasferta per l’espletamento delle proprie funzioni”. A questo fine è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un Fondo con una dotazione di 500.000 euro annui dal 2025. Le risorse sono destinate alle Amministrazioni interessate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Economia.

L’equiparazione avrebbe riguardato i ministri Matteo Piantedosi (Interno), Andrea Abodi (Sport), Guido Crosetto (Difesa), Marina Calderone (Lavoro), Alessandro Giuli (Cultura), Giuseppe Valditara (Istruzione), Orazio Schillaci (Salute) e Alessandra Locatelli (Disabilità), più altri dieci tra viceministri e sottosegretari. Eppure, una volta esplosa la polemica (del resto, era impensabile che un simile provvedimento passasse sotto silenzio), la manina responsabile della sua ideazione è magicamente sparita. Il titolare della Farnesina, Antonio Tajani, ha sostenuto che non si trattasse di una proposta di Forza Italia; il collega dei Trasporti, Matteo Salvini, di non aver “seguito la vicenda”; il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha ribadito di “occuparsi di fisco” e quindi non di queste materie.

Nessuno, quindi, ha avuto il coraggio di intestarsi una misura che ha fatto scatenare le opposizioni, per esempio con il leader del M5S, Giuseppe Conte, che è andato giù molto duro: “Ma come fanno a non vergognarsi? Ma in che mondo vivono?”. Fino alle parole di Crosetto di ieri, che hanno trasformato la figuraccia del governo Meloni in un pasticcio maggiormente gestibile. A meno di trasferte ingiustificate in giro per il mondo.

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