L'ultimo indagato miracolato dalla riforma è un 37enne di origine tunisina, considerato dalla Procura di Ascoli Piceno il gestore di un importante traffico di eroina: nei suoi confonti il gip ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, ma dopo essere stato convocato per l'interrogatorio si è reso irreperibile
Il giudice lo ha avvertito, notificandogli un avviso come prevede la nuova legge: “Vogliamo arrestarti, ma prima vieni a farti interrogare“. Lui, per tutta risposta, è fuggito dall’Italia rendendosi latitante. L’indagato miracolato dalla riforma Nordio è un 37enne di origine tunisina, considerato dalla Procura di Ascoli Piceno il gestore di un importante traffico di eroina, […]
Il giudice lo ha avvertito, notificandogli un avviso come prevede la nuova legge: “Vogliamo arrestarti, ma prima vieni a farti interrogare“. Lui, per tutta risposta, è fuggito dall’Italia rendendosi latitante. L’indagato miracolato dalla riforma Nordio è un 37enne di origine tunisina, considerato dalla Procura di Ascoli Piceno il gestore di un importante traffico di eroina, che secondo l’accusa trasportava in grandi quantitativi nelle Marche da Roma e Castel Volturno (Caserta) tramite auto prese a noleggio. Nei suoi confonti il gip ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, che però la polizia giudiziaria non ha potuto eseguire: il presunto narcotrafficante, infatti, sapeva dell’intenzione di metterlo dentro e ne ha approfittato per lasciare il nostro Paese in tempo utile, rifugiandosi probabilmente in Tunisia. Un effetto del cosiddetto “avviso di arresto“, introdotto dalla riforma voluta dal ministro della Giustizia ed entrata in vigore ad agosto: per sottoporre a misura cautelare un indagato per reati non violenti, è diventato obbligatorio convocarlo per un interrogatorio preventivo davanti al giudice, in modo da consentirgli di difendersi. Chi ha scritto la legge, però, non ha pensato a un rimedio per evitare che gli indagati scelgano di darsi alla macchia una volta avvertiti del rischio di finire in manette, come era stato pronosticato dagli addetti ai lavori e si è puntualmente verificato.
L’indagine – Nel caso di Ascoli il gip aveva disposto sei misure cautelari, tutte per detenzione e cessione di stupefacenti: tre custodie in carcere, una ai domiciliari e due obblighi di firma. “Come previsto dalla nuova normativa, il giudice, prima di emettere l’ordinanza di misura cautelare, ha dovuto avvertire tutti gli indagati che vi era a loro carico una richiesta di misura cautelare avanzata dalla Procura, invitandoli a prendere visione di tutti gli atti messi a loro disposizione e a farsi interrogare per presentare elementi a propria difesa, dando un termine di almeno cinque giorni tra il momento della notifica dell’invito e l’interrogatorio”, informa un comunicato firmato dal procuratore capo di Ascoli, Umberto Monti. Il tunisino fuggito, che era il principale indagato (gli vengono contestati sette episodi di detenzione e cessione di stupefacente), “riceveva la notifica il 25 novembre scorso per un interrogatorio fissato per l’11 dicembre”: pochi giorni dopo aver ricevuto l’atto, però, “si allontanava dall’Italia recandosi presumibilmente in Tunisia, e il giorno fissato per l’interrogatorio non si presentava”. A rendersi irreperibile anche un’altra cittadina tunisina, per cui era stato chiesto l’obbligo di firma. Altre due misure di custodia in carcere, a carico di un cittadino italiano e di un tunisino, si sono potute invece eseguire forse perché, pur essendo stati avvisati, i due indagati non hanno potuto fuggire in quanto “si trovavano già ristretti, rispettivamente in carcere e in un centro di permanenza per il rimpatrio”.
La legge col buco – In base alla riforma, l’interrogatorio preventivo si applica solo quando la misura è disposta, come in questo caso, esclusivamente per il rischio di reiterazione del reato, mentre non è necessario se sussiste una delle altre esigenze cautelari previste dal codice, cioè il pericolo di fuga e l’inquinamento delle prove. La norma esclude poi tout court l'”avviso di arresto” nelle indagini per un elenco di reati di particolare allarme sociale (mafia, terrorismo, violenze sessuali, stalking), in cui però non rientra il traffico di droga: l’articolo 73 del Testo unico stupefacenti, che punisce chi “cede, distribuisce, commercia, trasporta o procura” sostanze, è infatti citato solo “limitatamente” ai casi di spaccio di “ingente quantità“. Insomma, se la quantità non è “ingente” (e per esserlo, secondo la Cassazione, deve consistere in vari quintali di sostanza) l’eccezione non vale: per arrestare il presunto spacciatore o trafficante bisogna avvertirlo convocandolo per interrogarlo, con gli effetti che si sono visti ad Ascoli. Il Fatto aveva denunciato questo “buco” già la scorsa estate, prima che la legge entrasse in vigore: una norma pensata su misura per i colletti bianchi che delinquono – a cui si vuole evitare la spiacevolezza di trovarsi la Polizia in casa all’alba – si è trasformata in un favore imprevisto agli spacciatori, categoria ben poco apprezzata dal governo (è rimasto nell’immaginario comune il “lei spaccia?” di Matteo Salvini). Chissà se il caso di Ascoli spingerà a una marcia indietro.