Salta l’obbligo di revisori del Mef nelle società che percepiscono contributi pubblici. La commissione Bilancio ha approvato nella serata di martedì una nuova riformulazione della norma che abroga quei due commi dell’articolo 112 e introduce soltanto una stretta sui controlli dei bilanci delle società che ricevono “contributi significativi”, la cui entità verrà stabilita con un dpcm entro 90 giorni dall’approvazione della legge di Bilancio. Ma i controlli rafforzati, che prevedono anche l’invio al ministero di una relazione annuale sull’uso delle risorse, saranno effettuati dagli organi di controllo già costituiti. In compenso spunta una spending review obbligata.

Nella scrittura finale dell’emendamento, infatti, si prevede che enti, società e organismi che ricevono contributi pubblici “di entità significativa” non potranno spendere per queste voci “un importo superiore al valore medio sostenuto per le medesime finalità negli esercizi 2021, 2022 e 2023“. Più soft la spending review per le fondazioni lirico-sinfoniche e i teatri di tradizione, che hanno evidentemente visto una flessione negli anni della pandemia. Per loro la media di riferimento sarà quella degli “esercizi finanziari 2022 e 2023”. La misura, che è legata comunque, a un decreto ministeriale per l’attuazione, rischia di impattare non solo su grandi teatri e fondazioni ma anche su imprese che abbiano fruito di aiuti come possono essere quelli legati a Transizione 5.0.

La versione iniziale inserita nel ddl di Bilancio aveva suscitato le ire del vicepremier e leader di Forza Italia Antonio Tajani, che aveva definito la norma “priva di qualsiasi senso, voluta forse da qualche burocrate del Mef“. “Non serve”, aveva commentato, “un sistema che rischia di trasformare il Mef nella Stasi. Non è questo certamente l’intendimento del governo. Ho già parlato con il ministro Giorgetti mi ha assicurato che verrà rimodulata”.

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