Cinema

Conclave, pomposo, artificiale e manicheo il film tratto dal romanzo di Robert Harris

Conclave è la sagra altisonante sull’uso più scontato dei cliché e dei luoghi comuni sul clero cattolico e i suoi supremi rappresentanti

di Davide Turrini
Conclave, pomposo, artificiale e manicheo il film tratto dal romanzo di Robert Harris

Agatha Christie fatti da parte. Ci sono i dieci piccoli cardinali in salsa woke vaticana di Edward Berger. Conclave è la sagra altisonante sull’uso più scontato dei cliché e dei luoghi comuni sul clero cattolico e i suoi supremi rappresentanti. Tanto per fare un esempio che c’entra molto. Nanni Moretti con Habemus Papam a confronto è stato perfino originale: là le caricature arruffate dei cardinali in conclave per un buffo e lacerante rifiuto papale, qua le più viete divisioni culturali e politiche come da copione da salottino progressista per un accigliato conclave con intrallazzi nel corridoio che sembra un parlamentino italiano dei primi anni venti.

Il papa muore e il decano Thomas Lawrence (Ralph Fiennes) si adopera trafelato, addolorato e meticoloso nell’organizzare l’imminente conclave. Qualche terribile ombra si allunga però sulle ultime ore del Papa, tanto che parte un’indagine interna seguita di tutto punto da un arcigno monsignore. La tetra e isolatissima riunione dei cardinali per giungere alla fumata bianca è comunque pronta per iniziare. I quattro candidati principali al soglio di Pietro sono lo statunitense Aldo Bellini (Stanley Tucci), una specie di generico liberal aperto anche alle donne, apprezzato e amico dal mite Lawrence, comunque sul solco del precedente muto e ignoto papa; Joshua Adeyemi (Lucian Msmati), l’africano modello papa nero non proprio l’emblema del terzomondismo; l’italianissimo Goffredo Tedesco (Sergio Castellitto), il cosiddetto reazionario che richiama l’antica unità della Chiesa attraverso la lingua latina e un naturale anti islamismo; infine il canadese Joseph Trembley (John Lithgow), classica serpe conservatrice che organizza colpi bassi contro gli avversari per distruggerli. Ultimo, telefonato e fiacco outsider, il cardinale “in pectore” di Kabul, tal Benitez, un messicano tutto missioni sotto le bombe e tra i poveri che cela pure un segreto sulla propria sessualità.

Dopo scrutini su scrutini, fumate nere su fumate nere, attacchi d’ira e pugnalate alle spalle, viene eletto il candidato meno convenzionale possibile. Attorno a questi personaggi tagliati con l’accetta si affaccia comunque un Poirot, quel Lawrence in funzione madre chioccia che si carica addosso soluzione di misteri e complotti compiuti a tradimento tra eminenze porporate mondiali. La sovrabbondanza realistica di puntigliosi dettagli pratici (la fumata nera c’è perché caricano polvere nera, ma davvero?), profani (i cardinali usano lo smartphone, fumano sigarette, mangiano alla mensa, ovvero “loro sono come noi”) e sacri (la maniacale vestizione con i paramenti, per Lawrence ma non per tutti che non c’è tempo) si accoppia ad un mal applicato ieratico simbolismo che inizia nell’unità di uno spazio/luogo marmoreo impenetrabile (la Cappella Sistina), dalla quale nessuno esce nemmeno per un flashback (almeno questo, grazie a Dio), ma che si perde sulla distanza con l’accumulo di continue stilettate musicali d’archi che sembrano pistolettate per creare una suspense che non c’è e il clamoroso crollo di una parete della Cappella Sistina dovuto a invisibili, incombenti attentati terroristici esterni, che spinge i cardinali a prendere la giusta decisione: l’elezione di Innocenzo XIV.

Insomma, la sintesi espressiva generale è artificiosa e manichea, forzatamente illuministica (ancora con questa Chiesa che non deve essere Chiesa, che noia), e vista l’origine letteraria dal romanzone di Robert Harris, Conclave ha proprio lo spessore di quei best seller da aeroporto che mescolano pomposa solennità storica a gratuiti colpi di scena da blockbuster. Una considerazione infine sul cast all star che tanto valore imprimerebbe a testo e messa in scena: cambierebbe qualcosa se al posto di Fiennes, Tucci (o di Isabella Rossellini suora!) ci fossero anonimi caratteristi o di secondo piano? No. Il nostro amato Castellitto, comunque, con quel mantello rosso e il ricciolo brizzolato da bon vivant più che un bavoso cardinale ottocentesco sembra uscito da una sequenza onirica di Sangue del mio sangue di Bellocchio.

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