Nelle motivazioni della sentenza sul rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma di luglio, la Cassazione smonta la tesi del governo secondo cui non compete ai giudici dire se un Paese è sicuro. Al contrario, la prima sezione civile della Corte suprema hanno stabilito che “il potere di accertamento” del giudice “non può essere limitato dalla circostanza che uno Stato sia incluso nell’elenco di paesi da considerare sicuri sulla base di informazioni vagliate unicamente nella sede governativa”. La sentenza non riguarda le prime convalide dei trattenimenti in Albania, respinte dai magistrati romani a metà ottobre e impugnate dal Viminale, nel merito del quale la Cassazione deve ancora esprimersi. Ma i principi contenuti nella risposta al Tribunale di Roma impattano direttamente sulla questione, affermando il potere-dovere del giudice di verificare la legittimità della designazione del Paese come sicuro e, nel caso, di disapplicare la norma se incompatibile col diritto sovraordinato, quello europeo.

Nel merito del ricorso di un richiedente al quale era stata respinta la domanda d’asilo, il Tribunale di Roma aveva chiesto alla Cassazione se attenersi alla lista dei Paesi sicuri stilata dal governo con decreto ministeriale o se verificare d’ufficio la situazione del Paese in base alle fonti stabilite dalla normativa europea. Stessa lista e stesso decreto ministeriale disapplicato dai magistrati romani quando, a metà ottobre, si è trattato di decidere dei trattenimenti dei primi migranti in Albania. Alla luce della sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre, i giudici non hanno convalidato i trattenimenti per incompatibilità dell’elenco governativo col diritto Ue. Decisione contestata da governo e maggioranza e impugnata dal Viminale. Nell’attesa del pronunciamento su quei ricorsi, che potrebbe essere rinviato in attesa che la Corte di giustizia si esprima, nuovamente, dopo i tanti rinvii dei tribunali italiani, sono intanto arrivate le motivazioni della sentenza sulla questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Roma.

Contrariamente a quanto sostenuto dal governo, che respinge l’ipotesi che i giudici possano esprimersi sulla designazione dei Paesi sicuri perché si tratterebbe di decisione politica sulla quale non hanno competenze, la Cassazione ribadisce invece il dovere di collaborazione istruttoria del giudice, che ha dunque l’obbligo di verificare. E lo fa anche citando la Corte di giustizia europea: “L’ammissibilità del sindacato è una soluzione che discende de plano dalla sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 4 ottobre 2024″. Ancora: “Non sarebbe infatti compatibile con il diritto dell’Unione, avendo riguardo in particolare al diritto ad un ricorso effettivo, la circostanza che una domanda di protezione internazionale venga interpretata nel senso che i motivi che hanno indotto l’autorità amministrativa competente ad esaminare la domanda con procedura accelerata non possano costituire l’oggetto di alcun controllo giurisdizionale”.

In altri termini, scrivono ancora i giudici, il giudice “è tenuto ad effettuare una verifica aggiornata della situazione del paese di origine, dovendo giudicare sulla domanda di asilo alla luce delle condizioni di fatto sussistenti al momento della decisione. La necessità di una valutazione aggiornata non riguarda soltanto il merito della domanda di protezione internazionale, ma anche l’utilizzabilità della procedura prevista per i migranti provenienti da paesi sicuri. Se così non fosse, sarebbe vulnerato il significato più profondo dell’effettività della tutela garantita dal giudice ordinario quando sono in gioco diritti fondamentali che attengono al diritto di asilo e di protezione internazionale”. Da ultimo, chiudendo definitivamente la polemica sollevata dalla maggioranza di governo, “l’inserimento di un Paese nella lista di quelli sicuri non è un atto politico, perché deriva dalla applicazione dei criteri individuati dagli artt. 36 e 37 e dall’allegato I della direttiva 2023/32/UE e dall’art. 2-bis del d.lgs. n. 25 del 2008. La nozione di paese di origine sicuro ha carattere giuridico”. Il giudice quindi non si sostituisce al governo, che resta titolare della designazione. Ma deve verificala: “Quando si tratta di verificare la sussistenza in concreto dei criteri, normativamente predefiniti, che consentono di qualificare un paese come sicuro, la presenza di un aspetto politico non può giustificare il ritrarsi del controllo giurisdizionale“. Per questo la Cassazione ha stabilito che, in via incidentale, il giudice può eventualmente “disapplicare in via incidentale il decreto ministeriale” quando viola la normativa europea e nazionale.

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