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Paolo Cognetti: “Ho subito un Tso per una grave depressione”. Poi: “Trovo insopportabili le persone che raccontano un sacco di balle, siamo obbligati apparire sani, forti, colmi di gioia”

Pochi giorni fa l’autore di Le otto montagne è stato infine dimesso dopo due settimane dal reparto di psichiatria dell'ospedale Fatebenefratelli di Milano. Tra le pagine del racconto giornalistico di Cognetti, un romanzo in essere, in vita, in continua dolorosa mutazione, c’è tutta la fatica e il pianto che il male di vivere appiccica addosso ai viventi

di Davide Turrini
Paolo Cognetti: “Ho subito un Tso per una grave depressione”. Poi: “Trovo insopportabili le persone che raccontano un sacco di balle, siamo obbligati apparire sani, forti, colmi di gioia”

Un giorno dovremmo soffermarci sull’immensità dell’umano che è in Paolo Cognetti. Scrittore dal talento cristallino, uomo tormentato e fragile, essere vivente uguale tra pari. Piombato in un’epoca letteraria piatta ed egomaniacale, composta da inappuntabili professorini che danno continue lezioni di forma e sostanza, ad un certo punto ha bucato la membrana di quella che una volta si definiva ipocrisia borghese e ci ha lasciato con lunghe righe di lacrime sul viso. In una intervista a Repubblica ha raccontato di aver subito un Tso (trattamento sanitario obbligatorio) per una “grave depressione sfociata in una sindrome bipolare con fasi maniacali”.

Pochi giorni fa l’autore di Le otto montagne è stato infine dimesso dopo due settimane dal reparto di psichiatria dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Tra le pagine del racconto giornalistico di Cognetti, un romanzo in essere, in vita, in continua dolorosa mutazione, c’è tutta la fatica e il pianto che il male di vivere appiccica addosso ai viventi. Cognetti spiega così le ragioni del ricovero: “In primavera e d’estate, senza un apparente perché, sono stato morso dalla depressione. Nelle scorse settimane invece, sceso dal mio rifugio sul Monte Rosa, ero in una fase bella e creativa. Un giorno mi sono accorto che il mio pensiero e il mio linguaggio acceleravano. Gli amici mi hanno fatto notare che facevo cose strane”. Lo scrittore ricorda che nelle fasi maniacali “si può perdere il senso del pudore o quello del denaro. Io ho inviato ad amici immagini di me nudo e ho regalato in giro un sacco di soldi. Si sono allarmati tutti: c’era il timore, per me infondato, che potessi compiere gesti estremi, o che diventassi pericoloso per gli altri”.

Il 4 dicembre il medico dispone un Tso e nel giro di poche ore i ritrova sotto casa un’auto della polizia e un’ambulanza: “Sono stato sedato: da inizio dicembre, causa farmaci, non ho fatto che dormire. Resto un anarchico, ma in ospedale ai medici devi obbedire. Ti svegliano alle sei di mattina e ti obbligano a bere subito due bicchieroni di tranquillanti. Sei vivo, ma è come se fossi morto”. Dice Cognetti che avrebbe cercato di guarire “risalendo piuttosto in montagna o partendo per un viaggio”. Lo sguardo e la speranza che cercano strade battute, i sentieri che hanno fatto stare bene, la montagna come rifugio e isolamento da un reale che soffoca. “Mi sono illuso di poterlo fare. L’innamoramento è durato quattro anni: per due ho fatto il cameriere e mi sono sentito parte di una comunità. Poi, dopo che ho cominciato a camminare e a scrivere l’umanità della montagna mi ha respinto”.

Intarsiato al “ritiro” personale e professionale sembra esserci anche un sentimento e una passione che pesano addosso: “Dopo dieci anni avevo lasciato una ragazza da vigliacco. Non ho avuto il coraggio di dirle la verità, le ho fatto credere che me ne andavo per ritirarmi in montagna. Mentire rende soli, ma soli non si vive”. Tra le possibili cause dell’abisso paradossalmente l’apice: “Per imparare quasi scrivere ho impiegato 40 anni. Dopo il successo con Le otto montagne, una storia urgente e necessaria, mi sono chiesto: E adesso cosa faccio? Non ho trovato una risposta convincente. Forse ho temuto che il mio massimo editoriale, con il Premio Strega, fosse stato toccato: la popolarità è spietata e ha un prezzo significativo”. Infine lo squarcio: “Trovo insopportabili le persone che raccontano un sacco di balle. Depressione e disagio psichico sono un fiume carsico in piena, negato e ignorato per accreditare l’idillio di una società felice. Siamo obbligati ad apparire sani, forti e colmi i gioia. Io però sono uno scrittore: per me è tempo di alzare il velo della colpa che nasconde il dolore. Voglio dire semplicemente la verità, a costo di essere sfrontato”.

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