Lo Stato italiano ha violato la privacy dei massoni iscritti al Grande oriente d’Italia. Lo sostiene la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha dato ragione alla principale obbedienza del Paese. I massoni avevano fatto ricorso a Strasburgo, quando nel 2017 la Guardia di Finanza aveva fatto irruzione al Vascello, la sede del Goi a Roma. A inviare le Fiamme gialle a sequestrare le liste degli iscritti nelle logge della Sicilia e della Calabria era stata la Commissione Antimafia, all’epoca guidata da Rosy Bindi. Era stato il culmine dello scontro tra Palazzo San Macuto, impegnato in un’indagine su mafia e massoneria, e l’obbedienza guidata dal Gran maestro Stefano Bisi.

Il sequestro degli elenchi – Più volte l’Antimafia aveva chiesto le liste dei massoni siciliani e calabresi e alla fine la Commissione parlamentare aveva deciso di usare i poteri dell’autorità giudiziaria. “Il Goi si era rifiutato di consegnare tali elenchi spontaneamente in quanto da un lato non risultava che alcun iscritto fosse indagato dalla magistratura e dall’altro perchè ciò avrebbe costituito una massiccia violazione della normativa in materia di protezione dei dati personali degli iscritti”, ricostruisce oggi la principale obbedienza massonica. Tra roventi polemiche, il Grande oriente aveva chiesto il dissequestro degli elenchi al tribunale di Roma e poi aveva fatto ricorso al Garante della privacy: in entrambi i casi le istanze erano state rigettate. A quel punto il Goi aveva deciso di andare fino a Strasburgo. Sette anni dopo i giudici della Cedu hanno condiviso la posizione del professor Vincenzo Zeno-Zencovich, che rappresenta i massoni, condannando lo Stato a versare 9.600 euro per danni non pecuniari e 5.344 euro per spese legali al Grande oriente.

La sentenza di Strasburgo – A dare notizia della sentenza è un comunicato pubblicato sul sito del Goi, che ricorda come all’epoca furono sequestrati 39 faldoni con le schede di circa seimila iscritti alle loggie di Sicilia e Calabria. “Dopo tale massiccio sequestro, nelle 500 pagine della relazione finale della Commissione firmata dall’on. Bindi non vi è l’indicazione di neanche un iscritto al Grande Oriente d’Italia che risulti indagato dalla magistratura per reati di mafia”, sottolineano i massoni. Nel ricorso a Strasburgo, l’avvocato Zeno-Zencovich aveva definito come “intimidatoria” la natura della perquisizione. In una sentenza lunga 40 pagine la Cedu considera la perquisizione e il sequestro come una violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che disciplina il diritto al rispetto del domicilio e della riservatezza. La Cedu, inoltre sostiene che il provvedimento eseguito dalla Finanza fosse “sproporzionato”: “Non vi era alcuna evidenza che la acquisizione di tanti dati cartacei e digitali fossero rilevanti ai fini della inchiesta della Commissione”, ricostruisce il Goi. La Corte europea critica anche il fatto che non si possa fare ricorso contro le decisioni della Commissione parlamentari, auspicando l’esistenza di una “qualche forma di controllo ex ante o ex post da parte di una autorità indipendente quale garanzia essenziale contro interferenze arbitrarie dei pubblici poteri”. Per tutte queste ragioni la Cedu considera la perquisizione e il sequestro come “non conformi ” e “non necessarie in una società democratica”.

Il commento di Bisi – “Non si può certo gioire per la condanna dell’Italia, dichiarata ancora una volta gravemente responsabile di azioni in danno del Grande Oriente d’Italia Palazzo Giustiniani, ma deve necessariamente trarsi insegnamento per il futuro. Il Grande Oriente d’Italia prosegue, infatti, la Sua azione giudiziaria nei confronti dello Stato per la restituzione di Palazzo Giustiniani nella piena consapevolezza che il tempo restituirà Verità alla Giustizia”, commenta Bisi, citando un’altra battaglia che contrappone l’obbedienza al Parlamento. Da tempo, infatti, il Goi rivendica la proprietà dello storico stabile nel centro di Roma, occupato dal Senato dai tempi del fascismo. Nel comunicato apparso sul sito del Grande oriente, Bisi è indicato come Gran maestro, nonostante il suo decennale doppio mandato sia finito nel marzo scorso. Dopo il voto per eleggere il suo successore, infatti, tra i grembiulini è scoppiata una furiosa guerra intestina tra accuse incrociate di brogli e carte bollate. La lite è poi finita in tribunale con l’elezione del nuovo Gran maestro Antonio Seminario sospesa dai giudici di Roma. A questo punto Bisi è tornato in sella, considerandosi Gran maestro in carica in regime di prorogatio. Nel frattempo, però, in uno dei tanti procedimenti in corso, il tribunale ha nominato l’avvocato Raffaele Cappiello come curatore speciale dell’obbedienza: in pratica un profano – cioè uno che non è iscritto alla massoneria – rappresenta la principale obbedienza del Paese. È la prima volta in oltre duecento anni. Questa, però, è un’altra storia.

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